giovedì 30 gennaio 2014

Mostra "Liberty. Uno stile per l'Italia moderna" a Forlì dal 1 febbraio



 MOSTRA "LIBERTY. UNO STILE PER L'ITALIA MODERNA"
Dove: Musei di San Domenico, Forlì.
Quando: 1 febbraio - 15 giugno 2014
Orario: da martedì a venerdì 9.30 alle 19.00; sabato, domenica, giorni festivi dalle 9.30 alle 20.00.
Biglietti: euro 10 (intero), euro 8 (ridotto)
Informazioni e Prenotazioni: tel. 199 15 11 34; riservato gruppi e scuole tel: 0543 36217;
mostraliberty@civita.it; www.mostraliberty.it


Il rituale del caffè (dal romanzo di Rosario Centorrino, "A passo di tartaruga")

Ognuno ha le proprie abitudini su come preparare e bere il caffè. Chi possiede ancora la moca della mamma, della nonna; chi riesce a declamare più discendenza, arrivando persino a elencare tutto l'albero genealogico, credendo che questo giustifichi la bontà del preparato; chi vuole, esclusivamente, quello della macchinetta espressa a casa e chi batte tutti bevendolo solo ed esclusivamente al bar con un preciso rituale. La tazzina è tenuta dalla mano sinistra, quella del cuore, e la bustina dello zucchero, presa con la mano destra, è agitata per bene per poi versarne il contenuto e mescolare il tutto. C'è chi mescola con lentezza, come se lo stesse cullando e chi, invece, velocemente, come preso da una frenesia quasi barbara per poter arrivare prima all'agognato premio. Tutto questo è seguito dal momento magico: il cucchiaio deve inumidire il bordo della tazzina, lì dove le smaniose labbra cercheranno di ubriacarsi di piacere.
 -Rosario Centorrino, "A passo di tartaruga"

mercoledì 29 gennaio 2014

Il Maestro Battiato

"Fin da giovane, ho sempre avuto grandi sospetti verso quelli che se la prendono sempre con qualcun altro e mai guardano a se stessi."
- Franco Battiato



"Si t'o sapesse dicere..." di Eduardo De Filippo

Ah... si putesse dicere
chello c' 'o core dice;
quanto sarria felice
si t' 'o sapesse dì!

E si putisse sèntere
chello c' 'o core sente,
dicisse: «Eternamente
voglio restà cu te!»

Ma 'o core sape scrivere?
'O core è analfabeta,
è comm'a nu pùeta
ca nun sape cantà.

Se mbroglia... sposta 'e vvirgule...
nu punto ammirativo...
mette nu congiuntivo
addò nun nce 'adda stà...

E tu c' 'o staje a ssèntere
te mbruoglie appriess' a isso,
comme succede spisso...
E addio Felicità!

L'intervista della settimana: il poeta Francesco Vitellini


Francesco Vitellini nasce a Wuppertal (Germania) il 13 marzo 1977. La raccolta poetica d'esordio, "Ronde Poetiche", rappresenta una selezione di opere nate dalla continua ricerca della poesia in tutte le cose ed è suddivisa per macrotemi: il poeta in rapporto a se stesso, alla morte, all'amore, alla realtà che lo circonda. Tra le precedenti esperienze letterarie figurano la traduzione dal tedesco all'italiano del Romanzo Taddellöser und Wolff" di Walter Kempowski ( in collaborazione con Diana Politano) per la Casa Editrice "Lavieri"  e diverse pubblicazioni in antologie poetiche.







 1) Ciao Francesco, per cominciare parlaci un po' di te.
Sono nato in Germania nel ’77 e mi sono trasferito in Italia nell’86. Dal 2009 vivo a Milano. Questa migrazione prolungata nel tempo mi ha portato a non cercare fuori di me i valori che mi caratterizzano, ma dentro me. Per questo motivo sono una persona piuttosto riservata e, anche nei miei scritti, parlo poco di me o di situazioni da me vissute.

2) Che cos'è per te la poesia?
Per me la poesia è equilibrio tra forma e contenuto. Quando iniziai a scrivere la forma mancava totalmente (come si vede anche in “Ronde Poetiche”). Maturando, la mia scrittura si è avvicinata, poco a poco, agli stili classici della poesia strutturata, al punto da  non aver più usato versi liberi o sciolti.

3) Quando hai scritto la tua prima poesia?
Ho iniziato a scrivere nel febbraio del 2010.

 4) Che cosa ti spinge a scrivere poesie? E che ruolo ha la poesia nella tua vita?
Per me scrivere poesie è un esercizio di stile prima di tutto. Trovo che piegare il linguaggio e imbrigliare le parole in una forma ben precisa e definita sia una sfida ogni volta interessante in modo diverso. Spazio dai sonetti alle coplas, dalle ballate ai virelai. Insomma, tutto quello che ha una forma. Il ruolo che assegno alla poesia è quello di pratica di rilassamento

 5) Quali sono i poeti che prediligi e quali sono stati i libri fondamentali per te?
Leggo poche poesie, paradossalmente. Tra i poeti che ho letto amo Keats, Eliot e Yeats. Ovviamente tutti letti in lingua originale, perché leggere la poesia in traduzione non rende onore all’autore, dal momento che tradurre qualcosa in un’altra lingua la cambia totalmente.

6) Quali libri hai sul comodino?
In questo momento leggo “L’uomo senza qualità”, di Robert Musil.

   7)Secondo te esiste una relazione fra musica e testo poetico?
La relazione esiste ed è fondamentale. Senza musica il ritmo poetico non esisterebbe, e, nella mia visione di poesia, senza ritmo non esiste poesia.

 8) Perché il titolo "Ronde poetiche"?
Trovo ispirazione per i miei lavori soprattutto mentre passeggio, da qui il titolo.
Passeggiare in silenzio permette di pensare.

 9) Qual è il tema del tuo libro?
Il tema è quello della poesia presente in ogni cosa, ogni persona ed ogni situazione. Se si sa guardare la si trova in ogni circostanza, dal classico amore fino alla morte stessa.

 10) Quali sono i tuoi progetti letterari futuri?
Al momento sto compilando una raccolta di sonetti. A parte la poesia sto scrivendo un romanzo epistolare di fantapolitica, un romanzo e una lettura accompagnata di “Amleto”.
Tutte cose che pubblico sul mio blog.

Dedica un verso ai tuoi lettori
Nell’occhio del lettore eterna vive
la voce di colui che parla in versi,
d’amore e circostanza questi scrive
di come s’alza in volo in cieli tersi

dal marmo della tomba, l’ali schive,
farfalla colorata ad’occhi spersi,
innalza ad alti lidi l’alme prive
di quel che fu sostanza de’ dispersi.

Dicevo, è nell’occhi del lettore
che trovan compimento le passioni
cui dono lieve vita con parole

che senza l’altrui cuor non hanno toni.
Di breve rimembranza è lo scrittore
ch’è cieco a quel che crea nell’emozioni.



Ciao Francesco, grazie per la tua disponibilità.

Non facciamo i ciarlatani...

"Non facciamo i ciarlatani e dichiariamo francamente che a questo mondo non si capisce nulla. Soltanto gli imbecilli e i ciarlatani sanno e comprendono tutto".
Anton Cechov, in una lettera del 9 giugno 1888








Anton Cechov, le opere

L'attività di Cechov scrittore, oltre al reportage sull'isola Sachalin, si svolse per intero nell'ambito del racconto e del teatro. Fin dal 1880, quando ancora frequentava la facoltà di medicina, Anton Cechov aveva preso  a pubblicare brevi racconti umoristici su varie riviste della capitale, tra le quali in particolare "Le schegge", diretta da N. A. Lejkin, cui contribuì assiduamente dal 1882 al 1887. Nel 1881 si era cimentato per la prima volta nella composizione drammatica, completando la stesura di un interminabile dramma in quattro atti, che sperò invano di far rappresentare al Teatro Malyi, e che venne pubblicato postumo e privo di titolo nel 1920. A partire dal 1884 Cechov prese a raccogliere in volume i racconti che era andato pubblicando con crescente successo: i primi due volumi - Le fiabe di Melpomene (1884) e Racconti variopinti ( 1886) - recano ancora lo pseudonimo di Antoscia Cechontè dietro il quale egli si era fino ad allora trincerato; ma già il terzo volume - Nel crepuscolo (1887), che gli varrà il Premio Puskin dell'Accademia Imperiale delle Scienze - reca il suo vero nome, così come lo recheranno l'unico romanzo che egli scrisse     ( Una caccia tragica), e da allora in poi tutta la copiosissima produzione di racconti che lo rese celebre sia presso il vasto pubblico che nei circoli letterari, e nel cui ambito vanno citati almeno - per gli echi autobiografici e per la rilevanza dei contenuti, oltre che per le qualità poetiche - La steppa( 1887), La corsia n. 6 (1892), La mia vita (1892), Una storia noiosa (1893), La casa col mezzanino (1895), La signora col cagnolino (1898), Il vescovo (1902).
Al teatro , dopo la non compiuta esperienza del 1881, Cechov tornò nel 185 con un atto unico - Sulla via maestra - tratto da un proprio racconto, ma bocciato dalla censura zarista che ne definì le vicende "lugubri e sordide", cui seguirono sette atti unici  (l'ultimo è del 1892, e i più noti sono Il canto del cigno e il monologo Il tabacco fa male!) e sei composizioni maggiori in quattro atti.
La carriera teatrale di Cechov fu la più contrastata di quella del narratore, e gli fu causa di molte delusioni che concorsero ad aggravare le sue condizioni di salute. Ivanov, il suo primo lavoro in quattro atti che giunse alle scene, cadde nel 1887 al teatro Kors di Mosca, e si impose solo in una nuova stesura, presentata al Tatro Aleksandrinskij di Pietroburgo l'anno seguente. Irrimediabile invece risultò l'insuccesso di Liesci (1889), dopo il quale Cechov esitò a lungo prima di riaccostarsi al teatro con opere di maggior respiro che non l'atto unico. Ci riprovò comunque nel  1896, presentando all'Aleksandrinskij di Pietroburgo Il gabbiano, letteralmente subissato dal pubblico che si aspettava un'opera comica e che non era riuscito a liberarsi dall'equivoco: violenta e amarissima la delusione di Cechov, che si ripropose di non scrivere più per il teatro. Ma nel 1898, quando Stanislavskij e Nemirovic- Dancenko fondarono il Teatro dell'Arte, Il gabbiano fu ripreso e il suo clamoroso successo - 17 dicembre 1898 - segnò la definitiva affermazione della drammaturgia cechoviana, determinò le sorti del Teatro d'Arte, e costituisce dunque una delle date più importanti e significative della storia del teatro moderno. Ancora al Teatro d'Arte di Stanislavskij e Nemirovic - Dancenko sono legati i tre ultimi capolavori di Cechov: Zio Vania, scritto nel 1897 e approdato al Teatro d'Arte nel 1899 dopo un battesimo in provincia, Le tre sorelle (1901) e Il giardino dei ciliegi (1904) che al  Teatro d'Arte ebbero invece la loro prima rappresentazione assoluta.
                                                  Cechov legge Il gabbiano agli attori del Teatro d'Arte di Mosca