martedì 28 gennaio 2014

A di città, progetto rosarnese di rigenerazione urbana

"A di città" è l’unico progetto  calabrese, realizzato a Rosarno,  in lizza per la seconda edizione del premio cheFARE,  evento promosso dall’ associazione doppiozero in collaborazione con una rete di fondazioni e imprese (da Ahref a Il Sole 24 ore, da Tafter a Fondazione Fitzcarraldo, Enel ) che mira a far emergere progetti innovativi nel settore culturale premiandoli con un contributo di 100.000 euro. 
Il progetto Adi città, nato grazie alla lodevole iniziativa di un gruppo di ragazzi rosarnesi, ha come finalità quella di trasformare la città in un laboratorio in cui realizzare nuovi spazi urbani, stimolare la comunità a crescere partecipando in maniera attiva  alla ricostruzione del proprio territorio attraverso il dialogo  con docenti universitari, architetti e urbanisti, collettivi di design, artisti) per riflettere ed attivarsi ai fini di  donare un nuovo volto alla città. Il cuore pulsante del progetto è costituito dai workshop, i Cantieri Aperti, il progetto di Arte urbana condivisa, laboratori di teatro – danza e di agricoltura solidale, attraverso i quali viene sperimentato anche un diverso modello economico nel territorio.
C’è tempo fino al 13 Marzo per votare il progetto “A di città” sulla piattaforma “Che  Fare?: http// www.che-fare.com/ progetti- approvati/ a – di – citta/


Coloro che vivono d'amore vivono d'eterno..

Dino Buzzati con la moglie Almerina Antoniazzi, di professione modella, sposata quasi in segreto l’8 dicembre 1966 nella chiesa milanese di San Gottardo in Corte: lei aveva 25 anni e lui 60.

«E’ stato un caso. Avevamo 35 anni di differenza, mi ha intenerito perché pensavo fosse gravemente malato. Era il 1962, il Corriere mi mandò a farmi fotografare davanti a una fontana dei giardini pubblici, quelli che oggi sono i Giardini Montanelli. La modella non si era presentata e così chiamarono me. E’ stata una folgorazione: camicia bianca e cravatta, l’ho riconosciuto subito. Dopo il lavoro mi ha invitato a colazione, mi ha chiesto il numero e il permesso di potermi telefonare. Gli ho detto sì. Ma non è nato subito l’amore. La magia credo sia accaduta a Torino, dopo qualche tempo (..) Ero arrivata di nascosto a Torinoalla presentazione di "Un amore". Dino era mezzo disperato. Non guardava nessuno, così sono scappata in albergo senza salutarlo. Mi sono presentata al giornale a Milano il mattino dopo. E’ lì che mi ha confessato di non essere malato, solo innamorato e sconvolto dal rapporto con Laide, il personaggio del libro. Anche se "l’amore è una malattia", diceva sempre. Delusa, gli ho chiesto di non cercarmi più. Fino a quando il mio amico Gianni Santuccio, attore con cui collaboravo, mi ha pregato di telefonargli. Cercavamo una commedia da recitare. L’ho chiamato. Dopo un quarto d’ora me lo sono ritrovato sotto casa, e da lì non mi ha più mollata».(Almerina Antoniazzi su Dino Buzzati)

La solitudine della sofferenza


"Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prendere su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della
vita".
Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari










Azzurra Noemi Barbuto, Ali di burro

"Non so come sia successo. Ma credo che  a un certo punto in me anima e corpo si siano messi l'una contro l'altro. La mia anima voleva prendere il sopravvento, emergere, uscire fuori dallo stomaco e farsi sentire, e l'unico modo che aveva per farlo era quello di distruggere il corpo, consumandolo. Ma il dolore del corpo è il dolore dell'anima e viceversa, perché essi sono come due facce della stessa medaglia, come due lembi di seta cuciti con lo stesso filo l'uno sull'altro. Io avrei voluto che il mio corpo fosse come la mia anima. Allora io sarei stata bellissima, leggera, delicata, pura. Così pura da far sorgere negli altri la paura di contaminarmi con un solo sguardo. Così nessuno mi avrebbe guardata, se non per ammirare quella purezza perfetta e lucente e, guardandomi, si sarebbe sentito e sarebbe stato migliore, cioè più buono. Allora io sarei stata come uno di quegli oggetti delicati che esistono solo per la loro rara bellezza e che ispirano cose belle ed elevate a chi li osserva, quegli oggetti protetti, chiusi nelle vetrine, quelle cose preziose e fragili, di vetro soffiato o di porcellana, che noi guardiamo incantati al di là di un vetro quando siamo piccoli, mentre qualcuno ci dice con tono dolce e fermo :"si guarda ma non si tocca".
Io stessa non volevo appartenere a questo mondo vuoto e disperato, troppo duro e troppo pesante per tutta quella leggerezza che mi sentivo dentro, nello stomaco.
Se il mondo era un macigno, io sarei stata una piuma che soavemente scende giù ballerina e non si posa".
- Azzurra Noemi Barbuto, Ali di burro



lunedì 27 gennaio 2014

L'action painting di Jackson Pollock

"Non dipingo su un cavalletto. Preferisco fissare le tele sul muro o sul pavimento. Ho bisogno dell'opposizione che mi dà una superficie dura. Sul pavimento mi trovo più a mio agio. Mi sento più vicino al dipinto, quasi come fossi parte di lui, perchè in questo modo posso camminarci attorno, lavorarci da tutti e quattro i lati ed essere letteralmente "dentro" al dipinto. Questo modo di procedere è simile a quello dei "Sand painters Indiani dell'ovest".
Jackson Pollock (Cody, 28 gennaio 1912 -  Long Island, 11 agosto 1956)


Il momento culminante dell'arte di Jackson Pollock è il decennio che intercorre tra il 1946 e il 1956, anno della morte improvvisa in un incidente automobilistico. Per raggiungere il massimo dell'espressione soggettiva e della gestualità, Pollock abbandona la stesura del colore con il pennello e si serve della cazzuola, di bastoncini o addirittura del "dripping"        ( sgocciolamento): lascia sgocciolare il colore dal pennello sospeso e vibrante, o da un barattolo, sulla tela, non più appoggiata verticalmente al cavalletto ma adagiata a terra.
Le sue opere sono tele di grandi dimensioni, tali da permettere quanto più possibile la rapidità del gesto e quindi l'automatismo. Certo è quasi possibile raggiungere l'automatismo puro, dipingendo come in trance: qualunque direzione prenda il gesto, è pur sempre dovuta alla volontà dell'autore. Perfino la casualità dello sgocciolamento  e della macchia deriva dal modo in cui l'artista muove il corpo e il braccio; importante è far sì che questa scelta sia istintiva e non preventivamente meditata. Nell'età moderna riaffiora continuamente la tesi romantica dell'arte come espressione dell'individuo, anzi del "genio" che crea liberamente, per ispirazione improvvisa, quasi senza rendersene conto:"quando sono nel mio dipinto - scrive Pollock- non sono più consapevole di quello che faccio".
Nascono così  i suoi quadri, intrisi di linee e di colori, tumultuanti espressioni interiori , cui è del tutto estraneo il limite della cornice e ciò che essa ha sempre significato, ossia l'imposizione al dipinto di un'inquadratura che lo rende in pratica una veduta al di là di una  "finestra". Questo tipo di opera si pone infatti con totale continuità oltre quei limiti anche grazie all'ampiezza della sua superficie, che elude la capacità di controllo dell'osservatore.
E' opportuno evidenziare che anche in Pollock, talvolta, le forme, pur apparendo inesistenti nella realtà esterna come viene percepita a occhio nudo, le appartengono; ciò è visibile quando se ne osservano alcuni particolari ingranditi per mezzo del microscopio, secondo in collegamento fra artista e mondo circostante che forse è inconscio, ma che è ugualmente interessante.











Dino Buzzati, Inviti superflui, in "Sessanta racconti"

Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da pioggia sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sè una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo.
È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.


Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906- Milano, 28 gennaio 1972)

Dino Buzzati nacque a San Pellegrino nel 1906, ma visse quasi sempre a Milano. Formatosi durante gli anni del fascismo, rimase fondamentalmente estraneo alla retorica del regime, mantenendosi sempre fedele ad un'analisi dell'uomo in chiave esistenziale. Tale predisposizione umana e artistica, superando la contemporanea esperienza neorealistica, più portata a vedere l'uomo nella crudezza del vivere quotidiano, fra lotta partigiana e miseria del dopoguerra, lo spinse a saldarsi con la tradizione surrealistica novecentesca. Egli recuperava la linea del fantastico e dell'assurdo che, già presente nell'Ottocento con Poe, si riproponeva nel Novecento con Kafka prima e con Borges dopo.
L'uomo di Buzzati, più che storico, si può definire metastorico. E' l'uomo colto nell'eterno mistero della sua vita, nell'estenuante attesa di un evento che possa avere un effetto liberatorio sul suo destino di solitudine. L'approccio a tale problematica trovava immediato riscontro nella nativa sensibilità dello scrittore, anche se una certa influenza potrebbe avere avuto l'infanzia trascorsa nel silenzio contemplativo delle montagne del bellunese. Di contro si poneva il monotono lavoro di giornalista presso il "Corriere della sera", che funse comunque da spinta esterna per accrescere lo spirito meditativo sulle ansie dell'uomo e sui suoi desideri inappagati.
E su quest'onda magico - fiabesca che si sono sintonizzati i suoi romanzi e i suoi racconti (Barnabò delle montagne, 1933; Il segreto del Bosco Vecchio, 1935; Il deserto dei Tartari, 1940; I sette messaggeri, 1942; Paura alla Scala, Il grande ritratto, 1960; Un amore, 1963; Il colombre, 1966; la boutique del mistero, 1968).
Buzzati abbinò l'attività di scrittore a quella di curatore di testi per il teatro e la televisione. Sensibile alla realtà dell'immagine e in modo particolare del fumetto, pubblicò nel 1969 un Poema a fumetti.

Era così bello....

"Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre, però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro".
- Luigi Tenco




Un desiderio vago di cose ignote...

Le cadeva addosso una malinconia dolce, come una carezza lieve, che le stringeva il cuore a volte, un desiderio vago di cose ignote.

Giovanni Verga, Mastro Don Gesualdo

                                                Ritratto di Giovanni Verga



"La Voce", rivista fondata da Giuseppe Prezzolini

Il periodico "La Voce", fondato da Giuseppe Prezzolini, appare a Firenze nel dicembre 1908. Nel gruppo redazionale, oltre a Prezzolini, si ritrovano fra gli altri Giovanni Papini e Ardengo Soffici, il modernista Romolo Murri, lo scrittore Scipio Slataper e i liberaldemocratici Giovanni Amendola e Gaetano Salvemini. Tra i collaboratori, vi sono tantissimi personaggi di notevole spessore intellettuale, accomunati tutti dall'insoddisfazione verso l'Italia giolittiana e da una confusa ansia di novità.
Nell'editoriale di presentazione della rivista, scritto da Prezzolini,  si afferma l'intento di essere onesti e sinceri.
Questa sincerità, collocata fin da subito al centro del programma della "Voce", si tradurrà, in gran parte degli scrittori "vociani", in una sostanziale propensione all'autobiografismo; mentre l'onestà, di cui parla Prezzolini, imprimerà alle confessioni dei vociani un'inconfondibile cifra di lucida e radicale moralità.
"La Voce" esprime una forte esigenza di rinnovamento della cultura italiana entro una dimensione europea, nella prospettiva di un più ampio progetto di politica culturale globale.
Centrale fin da subito è l'impegno filosofico della rivista, che si mostra aperta ad una molteplicità di tendenze di pensiero, da Marx a Sorel, dal pragmatismo americano all'idealismo crociano.
Accanto a questioni teoriche, vengono discussi anche problemi più drammatici della realtà italiana del tempo: assai ampio, ad esempio, èlo spazio riservato alla questione meridionale. Nel 1914 "La voce" si scinde in due riviste distinte: da un lato "La Voce letteraria" sotto la direzione di Giuseppe De RObertis; dall'altro "La Voce politica", periodico di propaganda interventista, antigiolittiana e antisocialista, diretto da Prezzolini, che chiuderà le pubblicazioni solo dopo un anno.
"La Voce Letteraria" di De Robertis assume invece un profilo di disimpegno politico, dichiarandosi a favore dell'arte per l'arte, ossia del valore puro dell'espressione poetica. De Robertis, in particolare, sostiene il frammentismo lirico, cioè un'espressione poetica essenziale, in polemica con l'uso sovrabbondante della parola tipico dei dannunziani e dei futuristi.

                                       Giuseppe Prezzolini

Dal Diario di Anne Frank

"Ecco che cos’è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. È molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all’intima bontà dell’uomo.Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare!”
Anne Frank, Diario- Einaudi

domenica 26 gennaio 2014

Prefazione di Primo Levi al suo romanzo- testimonianza "Se questo è un uomo"

Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli. 
Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull'inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano. A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo. 
Mi rendo conto e chiedo venia dei difetti strutturali del libro. Se non di fatto, come intenzione e come concezione  esso è nato fin dai giorni di Lager. Il bisogno di raccontare agli "altri", di fare gli "altri" partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore. Di qui il suo carattere frammentario: i capitoli sono stati scritti non in successione logica, ma per ordine di urgenza. Il lavoro di raccordo e di fusione è stato svolto su piano, ed è posteriore.
Primo Levi, Prefazione a "Se questo è un uomo"


La lingua manca di parole per esprimere la demolizione di un uomo

Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest'offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare si che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. 
Primo Levi, "Se questo è un uomo"
                                                   




Considerate se questo è un uomo


Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripeterle ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

-Primo Levi, versi introduttivi del romanzo "Se questo è un uomo", scritto tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947.

Il Memoriale della Shoah

  Mosaico di nomi dedicato a 1.500.000 bambini deportati nel periodo della Shoah creato da Yad Vashem
"Il ricordo è protezione delle suggestioni ideologiche, dalle ondate di odio e sospetti. La memoria è il vaccino culturale che ci rende immuni dai batteri dell'antisemitismo e del razzismo".
- Ferruccio De Bortoli, Presidente della Fondazione Memoriale della Shoah
Il Memoriale della Shoah, situato sotto la Stazione Centrale di Milano, è un progetto nato con il fine di realizzare un luogo di memoria e un luogo di dialogo e incontro tra religioni, etnie e culture diverse.
Sotto il binario21, dove erano caricati e scaricati i treni postali, centinaia di ebrei venivano caricati su vagoni bestiame diretti ai campi di Auschwitz - Birkenau, Mauthausen, Bergen Belsen, Fossoli e Bolzano. Il Memoriale è stato inaugurato il 27 gennaio 2013, è stato promosso dalla Fondazione Memoriale delle Shoah, presieduta da Ferruccio De Bortoli.

I RISULTATI DEL SONDAGGIO DELLA SETTIMANA: IL MIGLIOR FILM DEL 2013

La grande bellezza di Paolo Sorrentino
  72 (35%)
La vita di Adele di Abdellatif Kechiche
  12 (5%)
Philomena di Stephen Frears
  15 (7%)
Still Life di Uberto Pasolini
  5 (2%)
 Blue Jasmine di Woody Allen
  8 (3%)
Gravity di Alfonso Cuarón
  6 (2%)
La migliore offerta di Giuseppe Tornatore
  38 (18%)
La mafia uccide solo d'estate di Pif
  16 (7%)
Spring Breakers di Harmony Korine
  0 (0%)
Django Unchained di Quentin Tarantino
  22 (10%)
Rush di Ron Howard
  8 (3%)
The Master di Paul Thomas Anderson
  0 (0%)
Il Lato Positivo di David O. Russell
  9 (4%)
Lo Hobbit - La desolazione di Smaug di Peter Jackson
  8 (3%)
Miele di Valeria Golino
  2 (0%)
Un castello in Italia di Valeria Bruni Tedeschi
  0 (0%)
Venere in pelliccia di Roman Polanski,
  5 (2%)
Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann
  11 (5%)
Educazione Siberiana di Gabriele Salvatores
  17 (8%)


Il senso da dare alla lettura in silenzio e solitudine

"Noi siamo abituati a dare a parole come "silenzio" e "solitudine" un significato di malinconia, negativo. Nel caso della lettura non è così, al contrario quel silenzio e quella solitudine segnano la condizione orgogliosa dell'essere umano solo con i suoi pensieri, capace di dimenticare per qualche ora "ogni affanno".
- Corrado Augias, "Leggere. Perchè i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi"



26 gennaio 1917: Ungaretti compone "Mattina"

Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

M'illumino 
d'immenso

                                     Santa Maria La Longa, monumento dedicato a Ungaretti

Mattina è costituita da una sinestesia, che riproduce un'esperienza quotidiana e insieme straordinaria (anche per le circostanze drammatiche in cui è vissuta): un'esperienza di illuminazione e di immensità, indotta dalla luce mattutina  del sole, un canto di gioia alla vita, un'inno alla creazione divina. La matrice religiosa è di primaria importanza: l'infinità dello spazio, che si manifesta al poeta e nel poeta in forma di luce, coinvolgendolo e riassorbendolo in sé, sembra richiamare il Paradiso di Dante e la sua teologia della luce.
La lirica, nella sua prima versione, era intitolata Cielo e mare e si presentava in forma meno sintetica e incisiva:

M'illumino 
d'immenso
con un breve 
moto
di sguardo

Il complemento indiretto limitava la forza espressiva dei primi due versi. Al contrario, la stesura definitiva è memorabile per l'estrema concisione verbale (due sole parole: un verbo e un aggettivo sostantivato) capace di riprodurre un'indefinita ampiezza concettuale. I due termini sono inoltre legati a livello fonico tramite l'allitterazione delle nasali e l'assonanza i-o, e a livello metrico tramite l'enjambement che unisce i due trisillabi, ed è frutto della divisione in due versi di un settenario, procedimento che ricorre spesso nelle liriche di Ungaretti.

Perchè i libri ci rendono migliori secondo Corrado Augias

I libri sono per loro natura strumenti democratici e critici: sono molti, spesso si contraddicono, consentono di scegliere e di ragionare. Anche per questo sono sempre stati avversati dal pensiero teocratico, censurati, proibiti, non di rado bruciati sul rogo insieme ai loro autori.
Corrado Augias, "Leggere. Perchè i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi"


sabato 25 gennaio 2014

La pericolosità degli imbecilli

L'imbecillità rappresenta, ahinoi, una risorsa utile per il sistema: se non ci fossero tanti imbecilli in giro non sarebbe così facile trovare un furbone che li seduce. Ecco perchè un imbecille è molto più pericoloso di un mascalzone.
Corrado Augias



Torna "Una notte al museo"

Dalle 20.00 alle 24.00 di oggi, sabato 25 gennaio 2014, tutti i musei e luoghi culturali d'eccellenza statali resteranno aperti al pubblico in occasione del settimo appuntamento di "Una notte al museo", evento promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

Mina e le parole di Gaber

Non esiste l'italianità, così come forse non esiste neppure l'Italia. Sugli euro ci abbiamo messo Dante, l'uomo di Leonardo, la Venere di Botticelli e altri simboli di un'Italia che è definitivamente morta. Culturalmente siamo diventati la periferia povera, colonizzata dalla barbarie. Così, in punta di piedi, mi metto dalla parte di Gaber, che amava così tanto questo Paese, da non sentirlo più come suo. Così innamorato dell'Italia e di un'appartenenza che non trovava, da dichiararsi anti- italiano. E, come posso, ricanto le parole della sua ultima canzone: "Mi scusi Presidente, non è colpa sua, ma questa nostra patria non so che cosa sia".
Mina (La Stampa, 01/02/2013)


Seta, di Alessandro Baricco

"Questo non è un romanzo. E neppure un racconto. Questa è una storia. Inizia con un uomo che attraversa il mondo, e finisce con un lago che se ne sta lì, in una giornata di vento. L'uomo si chiama Hervè Joncour. Il lago non si sa. Si potrebbe dire che è una storia d'amore. Ma se fosse soltanto quello, non sarebbe valsa la pena di raccontarla. Ci sono nel mezzo dei desideri, e dei dolori, che sai benissimo cosa sono, ma un nome vero, per dirli, non ce l'hai.."
Alessandro Baricco


La lettera di Virginia Woolf al marito Leonard

Il 28 marzo del 1941, Virginia Woolf si riempì le tasche di sassi e si gettò nel fiume Ouse vicino casa, lasciando una struggente lettera al marito Leonard :
“Carissimo. Sono certa che sto impazzendo di nuovo. Sono certa che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. Comincio a sentire voci e non riesco a concentrarmi. Quindi, faccio quella che mi sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quello che un uomo poteva essere. So che ti sto rovinando la vita. So che senza di me potresti lavorare e lo farai, lo so… Vedi non riesco neanche a scrivere degnamente queste righe… Voglio dirti che devo a te tutta la felicità della mia vita. Sei stato infinitamente paziente con me. E incredibilmente buono. Tutto mi ha abbandonata tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinare la tua vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi”



Virginia Woolf

Quando siamo troppo allegri, in realtà siamo infelici. Quando parliamo troppo, in realtà siamo a disagio. Quando urliamo, in realtà abbiamo paura. In realtà, la realtà non è quasi mai come appare. Nei silenzi, negli equilibri, nelle "continenze" si trovano la vera realtà e la vera forza. 
Virginia Woolf

Virginia Woolf, "Una stanza tutta per sé"

“Nell’ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta 

galla”.


Virginia Woolf 




Buon compleanno, Alessandro Baricco!

Alessandro Baricco nasce a Torino il 25 gennaio 1958. Dopo la laurea in filosofia lavora per alcuni anni come copywriter (redattore di testi pubblicitari) e si dedica a studi sulla musica. Nel 1994 fonda la Scuola Holden - dal nome del protagonista  del celebre romanzo del 1951, Il giovane Holden, di Jerome David Salinger - nella quale insegna tecniche di scrittura narrativa. Fra le sue opere: il monologo teatrale Novecento (1994), che racconta la vita di uno straordinario pianista nato su una nave nel 1900 e mai sceso da essa, e i romanzi Castelli di rabbia (1991),Oceano mare (1993) Seta (1996), City (1999) Senza sangue (2002), Questa storia (2005), Emmaus (2009), Mr Gwyn (2011), Tre volte all'alba (2012). La prosa di Baricco, lontanissima da qualunque deformazione sperimentale o espressionistica, è semplice , chiara ed elegante, modellata su una sintassi di tipo paratattico, essenziale e lineare. Lo scopo  è di facilitare la comprensione del lettore, aprendogli le porte, mediante una calcolata seduzione affabulatoria, di una sorta di fiabesco postmoderno: si pensi, in particolare, all'uso delle ripetizioni, che servono a creare, nelle intenzioni dello scrittore, un'atmosfera "magica" di vaga indeterminatezza.

Adeline Virginia Woolf, nata Stephen (Londra, 25 gennaio 1882 – Rodmell, 28 marzo 1941)

"Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali. Senza quel potere la terra forse sarebbe ancora tutta giungla e paludi. Le glorie di tutte le nostre guerre sarebbero sconosciute. Staremmo ancora a graffiare la sagoma di un cervo sui resti di ossa di montone e a barattare selci con pelli di pecora o con qualsiasi semplice ornamento attraesse il nostro gusto non sofisticato. Non sarebbero mai esistiti Superuomini o Figli del Destino. Lo Zar o il Kaiser non avrebbero mai portato corone sul capo né le avrebbero perdute. Quale che sia l’uso che se ne fa nelle società civili, gli specchi sono indispensabili ad ogni azione violenta od eroica. E’ questa la ragione per la quale sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sulla inferiorità delle donne, perché, se queste non fossero inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire. Ciò serve a spiegare in parte la necessità che tanto spesso gli uomini hanno delle donne. E serve anche a spiegare perché gli uomini diventano così inquieti quando vengono criticati da una donna; e come sia impossibile per una donna dire loro questo libro è brutto, questo dipinto è debole, o qualunque altra cosa, senza procurargli molto più dolore e suscitare molta più rabbia di quanta non ne susciterebbe un uomo che facesse la stessa critica.Perché se lei comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce; la capacità maschile di adattarsi alla vita viene sminuita. Come farebbe lui a continuare ad emettere giudizi, a civilizzare indigeni, a promulgare leggi, a scrivere libri, a vestirsi elegante e pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedere se stesso, a colazione e a cena, ingrandito almeno due volte la stessa taglia? A questo pensavo, mentre riducevo il pane in briciole e giravo il caffè e di tanto in tanto guardavo la gente che passava per strada."

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sè


                                            Virginia Woolf, Calle del perdon, Venezia

venerdì 24 gennaio 2014

"Quando parla Gaber. Pensieri e provocazioni per l'Italia di oggi"

"Il razzismo in Italia? Certo che esiste, e non mi piace, mi spaventa, anche se riconosco che l’Italia è molto lunga, il che fa sì che esistano radici culturali diverse, che vanno prese in considerazione. Quarant’anni fa, più o meno, nasceva la televisione e si sosteneva che sarebbe servita ad amalgamare la penisola, a renderla più omogenea. Invece è avvenuto il contrario: l’appiattimento televisivo ha fatto peggiorare l’umanità rendendola forse più intollerante, più superficiale, più egoista". 
( Giorgio Gaber - "Quando parla Gaber", a cura di Guido Harari )


"La luce in fondo al tunnel" di Greta Sollazzo


“Non pensate che l’anoressia sia un capriccio o sia
una malattia semplice da superare, comporta non
solo problemi fisici ma anche mentali"
(Greta Sollazzo, "La luce in fondo al tunnel")


"La luce in fondo al tunnel" è un libro autobiografico in cui l' autrice  si racconta a partire dalla sua tenera età fino ad oggi, soffermandosi a descrivere maggiormente gli anni dell'adolescenza durante i quali attraversa un momento difficilissimo, comune purtroppo a tanti ragazzi e ragazze. Un periodo buio, dal quale ne esce con forza e determinazione mettendo la sua esperienza dolorosa al servizio della scrittura.
Il libro vuole essere di aiuto a tutte le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, che  non riescono a trovare una via di salvezza.




Greta Sollazzo nasce a Gioia Tauro (RC) il 3 Novembre 1986, trascorre i suoi anni  a Galatro (RC) dove vive ancora oggi. Dopo aver conseguito, con tanto impegno e costanza, il diploma, si laurea nel 2011 in matematica all’Università della Calabria con sede in Arcavacata di Rende (CS). E’ proprio durante gli anni universitari che scopre la passione per la scrittura. Oggi è  un' affermata insegnante di matematica.

"Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar

"Animula vagula, blandula, 
Hospes comesque corporis, 
Quae nunc abibis in loca
Pallidula, rigida, nudula,
Nec, ut soles, dabis iocos...."
P. Aelius Hadrianus, IMP.



"Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate d’acque limpide, popolate di esseri umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della schiavitù, né dal turgore di una ricchezza volgare….” dice di sè Adriano, uomo totalmente immerso nella sua epoca e vicinissimo al tormento dell'uomo di tutti i tempi, nell'accanita ricerca di un'accordo tra la razionalità e la felicità, tra il destino e l'intelligenza.

Edith Wharton (New York, 24 gennaio 1862 – Saint-Brice-sous-Forêt, 11 agosto 1937)

La felicità è un'opera d'arte. Trattatela con cura.
 (da "Il canto delle muse")