“Abbiamo fatto del nostro meglio per peggiorare il mondo.”
— Eugenio Montale
domenica 11 settembre 2016
Montale
Quante volte t’ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
Poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.
- Eugenio Montale
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
Poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.
- Eugenio Montale
Accadde oggi
11 settembre.
Oltre 30.000 morti accertati.
Oltre 600.00 persone torturate.
Questi sono i numeri principali dell'11 settembre 1973, una data troppo spesso dimenticata e poi sorpassata dalla capacità mediatica dell' 11 settembre 2001.
Il golpe dell' 11 settembre 1973 portò al potere Pinochet con l’esplicito aiuto e contributo determinante degli USA.
Oltre 30.000 morti accertati.
Oltre 600.00 persone torturate.
Questi sono i numeri principali dell'11 settembre 1973, una data troppo spesso dimenticata e poi sorpassata dalla capacità mediatica dell' 11 settembre 2001.
Il golpe dell' 11 settembre 1973 portò al potere Pinochet con l’esplicito aiuto e contributo determinante degli USA.
venerdì 9 settembre 2016
Cesare Pavese
Amare un'altra persona è come dire: d'or innanzi quest'altra persona penserà alla mia felicità più che alla sua. C'è qualcosa di più imprudente?
— Cesare Pavese
Maurizio Marino
Caro Cesare Pavese,
sono il professor
Vittorini Leonardo. E dedico a te questo gesto di salvezza a cui ho assistito
oggi, a te che invece hai pizzicato la corda in culo al mondo e la corda in
culo al mondo ha risuonato cupa il verso nero del mare lento. Te la sei rotta
in due, la schiena, Pavese, a tradurre gli americani: c’hai vinto il premio di
un viaggio al confino che ti saresti ben risparmiato.
Le langhe che suono
hanno, che suono fanno? Le langhe lo battono il tempo del mare nero, del male
dentro? Al confino, al confino. Coi libri dentro alla giacca hai alzato gli
occhi che ti erano rimasti tristi nonostante il nome fiero. Non so se ti
ricordi di Tito tra i Cesari il più bello. Non so se ti ricordi di Svetonio che
scrive la vita di Tito. E Tito che fa? Rivive, sopravanza. Ti riscrivo per
tenerti in vita. Ci resta la speranza d’un fiato di parole. Oltre la porta c’è
una stanza dove s’annida il nero. Lontano resta il bisbiglio di uomini in
dialetto e passi lenti. Li senti, Cesare Pavese?
C’hai acceso gli
orizzonti coi tuoi racconti, e le parole in fila ai versi lunghi. Eri a
Brancaleone per un errore. Ti sei trafitto gli occhi con tutto quel nero
davanti. Tanto che manco lo guardavi, il mare. Te ne sei andato dal barbaglio
accecante delle Langhe, dai bianchi soffocanti delle nebbie per aver parlato
con Ginzburg, con Spinelli e il regime t’ha scoperto. In punizione, fino a
Brancaleone. Il confine è qui: pullula di mare. Di notte si sveste e cresce con
l’amore della luna. Senza falò, per pudore. Così nessuno ci vede.
Te ne sei andato, Cesare
Pavese, insieme a quelli come te: il nero s’impiglia sempre dentro a un non so
che, Pavese. Il millenovecentotrentacinque, Cesare, è stato lungo e lento, a
Brancaleone. A partire dall’estate e forse non è più finito. Hai letto,
quell’anno? hai scritto, Pavese? quanto t’è durato? i calabresi c’hanno provato
ad allietartelo. Ma niente.
Il tedio prende sempre il
sopravvento, Cesare. Lo spleen t’ha arrovellato. Ha bruciato fino al condono. E
te ne sei tornato alla tua terra. Un tuo amico, Davide Lajolo, t’ha ricordato
nel Vizio assurdo. C’hai portato a spasso con Dos Passos, Pavese. Niente
pettegolezzi, come c’hai lasciato scritto sull’ultimo pezzetto di carta. Quella
notte d’agosto del millenovecentocinquanta. Una bustina di sonnifero di troppo,
per terra.
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