Roma non è una città come le altre. E' un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi.
Alberto Sordi
martedì 25 febbraio 2014
Buon compleanno a Paolo Mieli!
La difesa della libertà di stampa significa salvare per le future generazioni il lascito immenso della lettura, da cui dipende tutta intera la trasmissione del patrimonio culturale della nostra civiltà e la possibilità che continui ad esistere un valido sistema di istruzione.
- Paolo Mieli
- Paolo Mieli
Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952
Non abbiamo bisogno di chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. Abbiamo solo bisogno di gente più onesta.
Benedetto Croce
Benedetto Croce
La riforma della commedia dell'arte
Goldoni è un professionista del teatro, che vive dei proventi del proprio lavoro e le cui opere sono inserite in un circuito commerciale: andando a teatro e pagando il biglietto il pubblico decreta il maggiore o minore successo delle commedie. Per queste ragioni durante la sua lunga carriera Goldoni si impegna nella riforma della commedia tradizionale, dovendo ottenere il consenso del pubblico, ma sarà anche degli impresari e degli attori, senza l'appoggio dei quali non sarebbe possibile introdurre alcuna novità.
Goldoni affida il suo pensiero sul teatro a due testi del 1750. Ne "Il teatro comico" mette in scena una compagnia teatrale durante le prove di una commedia, illustrando così, con un esempio di teatro nel teatro, i principi della riforma : la sostituzione del canovaccio, in base al quale gli attori improvvisano, con un testo scritto per intero; la presentazione di luoghi e persone reali; la semplificazione della trama, non più costruita su equivoci, scambi di persone ecc. Questi concetti sono ribaditi nella Prefazione alla prima raccolta delle commedie, in cui Goldoni esplicita i suoi modelli di riferimento: il Mondo e il Teatro, cioè la realtà viva e autentica degli uomini e la finzione scenica. La soppressione della maschera è un processo lento, che il commediografio veneziano inizia già nel 1738 con il Momolo cortesan, per cui il protagonista scrive tutti i dialoghi. Allo stesso tempo opera il riscatto delle figure femminili, liberate dalla rigidità del ruolo fisso di servetta: emblema di questo percorso è Mirandolina, protagonista della Locandiera (1753). Goldoni, inoltre, ritrae spesso la borghesia veneziana, in cui il pubblico può riconoscersi; anche il popolo, però, specialmente dalla fine degli anni Cinquanta, diventa fonte di ispirazione: si pensi a Il campiello (1756) o a Le baruffe chiozzotte ( 1760). L'esigenza di realismo fa scegliere a Goldoni il veneziano come lingua privilegiata, tanto più che a Venezia tutti, dai ceti popolari alle classi più colte, si esprimono in dialetto. Ma non mancano testi in cui usa l'italiano o, negli anni trascorsi a Parigi, il francese.
Goldoni affida il suo pensiero sul teatro a due testi del 1750. Ne "Il teatro comico" mette in scena una compagnia teatrale durante le prove di una commedia, illustrando così, con un esempio di teatro nel teatro, i principi della riforma : la sostituzione del canovaccio, in base al quale gli attori improvvisano, con un testo scritto per intero; la presentazione di luoghi e persone reali; la semplificazione della trama, non più costruita su equivoci, scambi di persone ecc. Questi concetti sono ribaditi nella Prefazione alla prima raccolta delle commedie, in cui Goldoni esplicita i suoi modelli di riferimento: il Mondo e il Teatro, cioè la realtà viva e autentica degli uomini e la finzione scenica. La soppressione della maschera è un processo lento, che il commediografio veneziano inizia già nel 1738 con il Momolo cortesan, per cui il protagonista scrive tutti i dialoghi. Allo stesso tempo opera il riscatto delle figure femminili, liberate dalla rigidità del ruolo fisso di servetta: emblema di questo percorso è Mirandolina, protagonista della Locandiera (1753). Goldoni, inoltre, ritrae spesso la borghesia veneziana, in cui il pubblico può riconoscersi; anche il popolo, però, specialmente dalla fine degli anni Cinquanta, diventa fonte di ispirazione: si pensi a Il campiello (1756) o a Le baruffe chiozzotte ( 1760). L'esigenza di realismo fa scegliere a Goldoni il veneziano come lingua privilegiata, tanto più che a Venezia tutti, dai ceti popolari alle classi più colte, si esprimono in dialetto. Ma non mancano testi in cui usa l'italiano o, negli anni trascorsi a Parigi, il francese.
Carlo Osvaldo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793)
Carlo Goldoni nasce nel 1707 a Venezia in una famiglia borghese. Compie i primi studi di grammatica, retorica e filosofia e, nonostante i suoi interessi riguardino il teatro ( legge i comici antichi e segue gli spettacoli della commedia dell'arte), si iscrive a giurisprudenza. Nel 1730 esordisce in teatro con due intermezzi, ma a causa della morte del padre, per provvedere alle proprie necessità economiche, esercita la professione di avvocato. Non abbandona comunque la sua passione per le scene e compie una tournèè con la compagnia Imer. Tra il 1737 e il 1741 diventa direttore del teatro di San Giovanni Crisostomo e nel 1748 firma un contratto con Medebach, capocomico del teatro Sant'Angelo. Ha inizio in questi anni la polemica con Pietro Chiari, che accusa Goldoni di aver decretato la fine della commedia a soggetto in maschera. Nel 1762 si trasferisce a Parigi per dirigere la Comdédie Italienne, ma non trova un ambiente e un pubblico favorevoli alle sue innovazioni. Essendo ancora impegnato con il teatro San Luca di Venezia, mostra una grande versatilità : produce recite a soggetto per il pubblico francese e, partendo dai medesimi temi, testi interamente scritti per le scene veneziane. Grazie all'incarico a corte come precettore ottiene una pensione, che gli viene però revocata con lo scoppio della rivoluzione francese. Muore a Parigi di povertà nel 1793, il giorno prima che venga approvata la reintegrazione del vitalizio.
Alberto Sordi (Roma, 15 giugno 1920 – Roma, 24 febbraio 2003)
Avevo intorno ai tredici anni, era il 1933, quando incontrai Benito Mussolini. Ci sembrò un sogno. Una mattina alle 9, a Palazzo Venezia, l'usciere Navarro ci fa entrare nella mitica Sala del Mappamondo. Era immensa e lustra come uno specchio. Mi tremavano le gambe. Il Duce ci aspettava dietro un grande tavolo. Salutiamo romanamente nelle nostre divise fiammanti. Poi il Duce parla con voce rotonda: "Camerati, vi ascolto". Al che il veterano si slancia in avanti: "Eccellenza, Duce, ecco il mio piano laborioso. Darà lavoro a centinaia di persone". E gli porge alcuni fogli con mappe e grafici. Passano cinque, dieci secondi, sufficienti perché Mussolini intuisca tutta l'inconsistenza del progetto. "Mi vorreste alla posa della prima pietra? No - dice -, vi do tempo. Verrò all'ultima". Così ci licenzia, e noi usciamo dal palazzo come cani bastonati. [...] Mi è servito in seguito. Non ho più raccomandato nessuno. Quando c'è qualcuno che insiste, gli dico: guarda, mi è andata male perfino con il Duce.
Iscriviti a:
Post (Atom)