"L'uomo, si dice. E noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e a chi ha fame, e a chi ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all'offesa che gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e ch' era, in lui, per renderlo felice. Questo è l'uomo."
- Elio Vittorini, Uomini e no
Proprio nel periodo più drammatico della guerra di Liberazione, tra la primavera e l'autunno del 1944, Elio Vittorini scrive "Uomini e no", romanzo ambientato nel clima della Resistenza che si combatteva a Milano nel 1944 ed è imperniato sulla vicenda storica ed esistenziale di Enne 2, un partigiano che va alla ricerca di se stesso, interiormente travagliato da un amore impossibile per una donna e sensibile al dramma dei tempi. Dopo l'armistizio e la fuga da Roma del re e del governo, i tedeschi hanno occupato l'Italia settentrionale. Milano vive sotto l'incubo dei rastrellamenti e delle repressioni fasciste guidate da Cane Nero. Enne 2 è ricercato in quanto ideatore di più attentati contro i nazisti, però è stanco di fuggire. Ha perso tanti compagni, il prezzo della lotta è stato troppo alto, ma l'odio nei confronti della barbarie efferata da Cane Nero non è diminuito. Circondato in una casa da Cane Nero e dai suoi uomini, questa volta non fuggirà. Lo ucciderà e poi cadrà da un uomo sotto il fuoco dei fascisti.
Il linguaggio usato dall'autore si articola su due piani, corrispondenti a due diversi registri psicologici; da un lato, il dialogato secco ed essenziale, fatto di battute brevi e concise, spesso ossessivamente ripetute, espressione di un reale crudo ed oggettivo; dall'altro, gli interventi in corsivo, dall'andamento fortemente lirico e spesso oracolare, animati dall'umanesimo integrale di Vittorini, che guardano alle offese subite dal mondo cono occhio dolente e intriso di pena per gli uomini.
"Avevo comprato a Villa San Giovanni qualcosa da mangiare, pane e formaggio, e mangiavo sul ponte, pane, aria cruda, formaggio, con gusto e appetito perchè riconoscevo antichi sapori delle mie montagne e persino odori, mandrie di capre, fumo d'assenzio, in quel formaggio".
- Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia
"Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed è grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e così la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo, uno conosce le offese recate al mondo, l'empietà e la servitù, l'ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza? Che farebbe? uno si chiede. Che farei? mi chiesi".
-Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia
"Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano. Questo è un dubbio che viene, nella pioggia, quando uno ha le scarpe rotte, e non più nessuno in particolare che gli occupi il cuore, non più vita sua particolare, nulla più di fatto e nulla da fare, neanche da temere, nulla più da perdere, e vede, al di là di se stesso, i massacri del mondo.
Un uomo ride e un altro piange. Tutti e due sono uomini; anche quello che ride è stato malato, è malato; eppure egli ride perchè l'altro piange".
- Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia
in Conversazione in Sicilia, il protagonista - narratore, l'intellettuale Silvestro, un siciliano che vive da tempo in una città del Nor, decide di compiere un viaggio al proprio paese d'origine, dove abita ancora la madre, per cercare di comprendere le ragioni della consapevolezza, maturata in lui, che il mondo è offeso ( dalla guerra e da tutte le morti che ne derivano), ma senza che egli ancora riesca a vederne le cause, e soprattutto a individuare le scelte da compiere tale offesa.
Nella premessa all'edizione in volume del romanzo ( 1941) uscito dapprima a puntate su "Letteratura", Elio Vittorini dichiara che ciò che conta, nell'opera, non è il luogo geograficamente determinato, la Sicilia, ma il senso complessivo del messaggio, valido per ogni luogo del mondo. In effetti non si tratta tanto della Sicilia storica, quanto di un luogo mitico e favoloso: uno spazio dell'anima, simbolo di quell'isola salvezza a cui si approda alla fine della tempesta dopo il naufragio. L'intero viaggio del protagonista è simbolico - allegorico: un viaggio di conoscenza e di esperienza che Silvestro compie partendo dal centro della cultura e della vita moderne, le quali però non gli hanno dato nessuna chiave per precisare la propria certezza dolorosa che il mondo sia offeso.
Lirico, visionario, scritto con una tensione stilistica mai allentata, il romanzo vuol essere la descrizione di un viaggio iniziatico che illumina, nel contempo, una complessa problematica umana e politica, sullo sfondo di una riscoperta memoriale ì del mondo dell'infanzia e di una socialità primitiva, genuina ed autentica.
Il linguaggio si presenta per un verso semplice e chiaro, molto vicino al parlato, ma per un altro verso - grazie a procedimenti retorici come l'iterazione e la metafora - evocativo e poetico, con la presenza di suggestioni ermetiche e decadenti.
"Ma io non so parlare, non so parlare, non so essere in compagnia che quando sono a un tavolo, cioè solo...Anzi non posso addirittura pensare che così, scrivendo: e non posso cambiare che attraverso l'atto di scrivere. Si capisce, mi è necessario ascoltare, ma poi mi è necessario essere solo a un tavolo per avere le mie reazioni, e accettare o respingere o semplicemente dubitare".
- Elio Vittorini, lettera a Mario Socrate ( inizio 1948)
"Leggere letteratura, filosofia e scienza, se non lo si fa per professione, è un lusso, una passione virtuosa o leggermente perversa; un vizio che la società non censura; è sia un piacere che un proposito di automiglioramento. Richiede un certo grado e capacità di introversione concentrata. E' un modo per uscire da sé e dall'ambiente circostante, ma anche un modo per frequentare più consapevolmente se stessi e il proprio ordine e disordine mentale".
- Alfonso Berardinelli, "Tutti i pericoli della lettura" su Domenica de Il sole 24 Ore
"Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune".
-Sandro Penna
Il regista calabrese Gianni Amelio ha presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Berlino 2014 la sua nuova opera, "Felice chi è diverso", film prodotto da Luce Cinecittà, nelle sale dal 6 marzo.
"L'atto più difficile è imparare ad essere individui che sanno amare. L'intenzione di questo film - spiega il regista - era fare un resoconto sul come l'omosessualità è vista dai media italiani. Pensavo che la censura più forte ci fosse stata nel periodo fascista, in base al principio del fare tutto purchè non se ne parli, e invece ho scoperto che è durata molto di più, almeno fino agli Anni Settanta. La verità venuta alla luce è che abbiamo tutti gli stessi problemi. Se parliamo di affettività, allora siamo uguali e dobbiamo partire da questo per capirci".