mercoledì 6 marzo 2024

Da "Gli Antipatici", di O. Fallaci

 Estratto dall'intervista di Oriana Fallaci ad Anna Magnani (da "Gli Antipatici", di O. Fallaci)


ORIANA FALLACI: Di qualcosa avrà pur paura anche lei, signora Magnani. Di invecchiare, ad esempio. Non ha paura di invecchiare?

ANNA MAGNANI: No, a condizione che non mi invecchi il cervello. Le grinze in faccia, sa, son sopportabili. Soprattutto se si è goduto abbastanza quando non c'erano. Ma le grinze al cervello, che orrore! Di morire, allora. Non ha paura, lei, di morire? Io sì, tanta. Ci penso sempre, alla morte. È così ingiusto morire, dal momento che si è nati. Morire è finire: perché si deve finire? Un uomo dovrebbe finire quando decide di finire, quando è stanco, pago di tutto: non prima. Oddio, c'è una tale sproporzione tra la dolcezza con la quale si nasce e la fatica con la quale si muore. Nascere è quattro strilletti sani e gioiosi, morire è tragedia. Si dovrebbe almeno morire con la stessa dolcezza e incoscienza con la quale si nasce, E lo sa che le dico? Forse sarebbe più giusto nascere vecchi e morire bambini. Gesù, che discorsi. Ora mi farà un ritratto tragico, deprimente. Ma io non sono una donna tragica, deprimente. Io sono... Orià: cosa sono?

ORIANA FALLACI: Gliel'ho detto in principio: un libro già scritto. Tanto più incomprensibile quanto più si rilegge. Ma scritto.

ANNA MAGNANI: Uhm! Boh! Mah! Sta roba da intellettuali! Orià: non faccia l'intellettuale, sia intelligente, ma che pensa di me?

ORIANA FALLACI: Io penso... io penso che lei sia un grand'uomo, signora Magnani.


Roma, aprile 1963.



Storie d'amore

 Il Gabo e la Gaba


Gabriel García Marquez conobbe la sua futura moglie, Mercedes, quando aveva soli nove anni. Le propose di sposarlo a un ballo quando ne compì quattordici, ma dovette attendere che lei avesse ventisei anni per poterla portare all'altare il 21 marzo 1958 a Barranquilla.


Mercedes gli restò accanto per 54 anni, fino all'ultimo giorno di vita di Marquez, il 17 aprile 2014.



Lucio Anneo Seneca

 Qui giova essere saggi: respingi con forza d’animo la paura anche se giustificata; oppure, scaccia una debolezza con un’altra: tempera il timore con la speranza.



Gabriel Garcia Marquez

 Fece allora un ultimo sforzo per cercare nel suo cuore il luogo dove gli si erano putrefatti gli affetti, e non potè trovarlo.

Gabriel Garcìa Marquez, Cent'anni di solitudine



Gabriel Garcia Marquez

 Le aveva insegnato che nulla di quanto si fa a letto è immorale se contribuisce a perpetuare l'amore. E una cosa che da allora in poi sarebbe stata la ragione della sua vita: l'aveva convinta che si viene al mondo con i propri orgasmi contati, e quelli che non vengono usati per qualsiasi motivo, proprio o altrui, volontario o coatto, sono persi per sempre.


Gabriel Garcìa Marquez, "L' amore ai tempi del colera"



martedì 5 marzo 2024

Pier Paolo Pasolini

 L’insegnante deve svegliare nell’alunno la coscienza dell’intelligenza; da qui nascerà la voglia di studiare. Bisogna provocare la curiosità, poi qualsiasi obiettivo è buono, la costruzione del verbo videor come il rapporto tra i sessi, l’ a priori di Kant come le ballerine del varietà.

E' facile intuire quale dovrebbe essere la funzione dell’educatore– insegnante: dovrebbe essere un lavoro di liberazione e depurazione (ecco perché è assurda l’obbligatorietà dell’insegnamento religioso: la religione è una conquista non un acquisto) in seguito a cui venga riprovocata nell’impube la sua vera natura, ripercorrendo a rebours le cristallizzazioni dell’autorità.
Pier Paolo Pasolini



Pier Paolo Pasolini

 “La solitudine: bisogna essere molto forti

per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori del comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza o mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
È il mondo che così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente; allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.”

- Pier Paolo Pasolini, da Trasumanar e organizzar (1971)