L’attesa è un incantesimo: io ho avuto l’ordine di non muovermi.
L’attesa di una telefonata si va intessendo di una rete di piccoli divieti, all’infinito, fino alla vergogna…
proibisco a me stesso di uscire dalla stanza, di andare al gabinetto, addirittura di telefonare (per non tenere occupato l’apparecchio):
per la stessa ragione io soffro se qualcuno mi telefona..
l’idea di dover uscire tra poco, correndo così il rischio di essere assente al momento dell’eventuale chiamata riconfortante, del ritorno della madre, mi tormenta.
Tutti questi diversivi sono dei momenti perduti per l’attesa, delle impurità d’angoscia, poiché, nella sua purezza, l’angoscia dell’attesa esige che io me ne stia seduto in una poltrona con il telefono a portata di mano.. senza far niente.
R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso