Il desiderio non sa cosa vuole. E’ un atto infondato che trova insopportabile ogni gesto della ripetizione volto a confermare se stesso. Come una forza incontrollata irrompe nella stabilità dell'ordine, producendo nel senso, da tempo codificato, quel contro-senso che fa ruotare i discorsi senza immobilizzarli intorno a un dispositivo reale.
Il desiderio a differenza dell'amore, che vuole costruzione e stabilità, è un movimento verso un punto di perdita. Non produce un altro linguaggio parallelo, autonomo o alternativo a quello dell'amore, ma solo eventi il più delle volte tra loro irrelati, che mirano alla dissoluzione di tutto ciò che pretende di porsi come unico, come esemplare, come subordinante la ricchezza e la varietà del molteplice. Per questo, nel suo impulso, il desiderio non predispone una risposta e non contiene una soluzione. Non si lascia presiedere da alcuna logica.
Estraneo a ogni logica, il desiderio gioca, ma il suo gioco non ha regole, perché le regole sono la negazione del gioco, servono all'esclusione, al “fuori gioco”.
Umberto Galimberti, Le cose dell'amore