《Abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno.
Del resto, parlare al prossimo in una lingua che egli non può capire è [..] un antico artificio repressivo, noto a tutte le chiese, vizio tipico della nostra classe politica, fondamento di tutti gli imperi coloniali. È un modo sottile di imporre il proprio rango [...]. Neppure è vero che solo attraverso l' oscurità verbale si possa esprimere quell' altra oscurità che giace nel nostro profondo. Non è vero che il disordine sia necessario per dipingere il disordine.[ ...] Chi non sa comunicare o comunica male, in un codice che è solo suo o di pochi, è infelice, e spande infelicità intorno a sé. Se comunica male deliberatamente, è un malvagio, o almeno una persona scortese, perché obbliga i suoi fruitori alla fatica, all' angoscia o alla noia.
Beninteso, perché il messaggio sia valido, essere chiari è condizione necessaria ma non sufficiente: si può essere chiaro e noiosi, chiari e inutili, chiari e bugiardi, chiari e volgari, ma questi sono altri discorsi》.
Primo Levi, Dello scrivere oscuro (1976) in "L' altrui mestiere", Einaudi, Torino 1985
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