《Dopo ben nove anni di battaglie processuali, una causa viene finalmente assegnata a sentenza. Qualche giorno prima che scadessero i termini, mi viene lo scrupolo difensivo di stendere una breve memoria di replica. Mi era venuta in mente una concisa osservazione di diritto che per tutta la durata della lite non era mai stata sollevata. Per riempire la paginetta incastono quel rilevo giuridico tra due svolazzi “poetici” del tipo “…il sole tramonta sulle terre del Sig…abusivamente occupate…” oppure “…e quella luce rossastra piove come sabbia del Sahara sulle fertili coltivazioni…” ecc. ecc. roba così. Era sera, la batto a macchina, me ne vado a dormire. La mattina dopo la deposito in cancelleria. Passato qualche giorno, mi trovo a salire le scale del palazzo del tribunale affiancato dal giudice relatore di quella causa, magistrato di grande maestria tecnica e dal temperamento signorilmente “freddo”. Il quale mi fa: “È sempre un piacere leggere le Sue comparse, avvocato”. Lo ringrazio sentitamente, ci salutiamo e ci separiamo. Comincio a pensare: mi vuole prendere in giro? Oppure vedi mai che i miei svolazzi “poetici” hanno fatto breccia? Mistero. Dopo qualche tempo avrei letto nella motivazione della sentenza “…come acutamente osserva la difesa del convenuto…”. Aveva vinto il Diritto. La Letteratura non c’entrava per niente》.
- Paolo Conte, un aneddoto della sua vita da avvocato
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