«La ricerca rimane fondamentale. Vediamo pazienti che vengono da tante parti. Ma siamo interessatissimi al dna della popolazione calabrese, che è particolare e variegato. Un esempio recente: c’è un gene coinvolto nell’Alzheimer di tipo genetico, l’App (proteina precursore della beta amiloide), di cui abbiamo identificato una mutazione che nel mondo stiamo descrivendo solo noi, e che si è originata proprio in Calabria. Questi studi non hanno un sapore localistico ma diventano scienza, patrimonio di tutti».
«Sono malattie complesse, ognuna nella sua specificità, con quadri clinici molti diversi e patogenesi che non sono state ancora comprese del tutto. Diciamo che nella ricerca c’è stata una semplificazione eccessiva a fronte di una complessità della malattia che non è stata studiata a sufficienza,però la ricerca è senza ombra di dubbio l’unico strumento che dà la speranza di un futuro. È sbagliato ridurre la malattia di Alzheimer al suo aspetto sociale. Perché è più che giusto che noi diamo a pazienti e famiglie l’afflato di una collettività intera che li sostiene. È necessario combattere lo stigma, cercare di “normalizzare” il più possibile la vita delle persone affette. Ma dobbiamo sempre pensare che siamo di fronte a una malattia».
Amalia Bruni, la scienziata calabrese che ha scoperto la presenilina-1 , il "gene" più diffuso dell’Alzheimer.
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