lunedì 21 aprile 2025

Gino Strada

 "Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra".

Gino  Strada




Gino Strada

 C 'era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il vero, c'era molta più acqua che terra su quel pianeta. Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po' bislacco. Prendete le automobili, per esempio. Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano "volante", anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo "guidante", oppure "girante", visto che serve per girare? Anche sulle cose importanti si faceva molta confusione.


Si parlava spesso di "diritti": il diritto all'istruzione, per esempio, significava che tutti i bambini avrebbero potuto (e dovuto!) andare a scuola. Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale. Ma per chi viveva in un paese senza scuole, oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l'ospedale (e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l'eccezione), questi diritti erano in realtà dei rovesci: non valevano un fico secco. Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere, queste cose non erano diritti: erano diventati privilegi, e cioè vantaggi particolari riservati a pochi. A volte, addirittura, i potenti della terra chiamavano "operazione di pace" quella che, in realtà, era un'operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano.E poi, sulla Terra, non c'era più accordo fra gli uomini sui significati: per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare. Quanta confusione!Tanta confusione che un giorno il mago Linguaggio non ne potè più. Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini. All'inizio c'era stato un po' di trambusto, perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo l'altro pensava al canguro, e se uno chiedeva spaghetti l'altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai. Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti.


Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio, e il gorilla un animale peloso, e non c'era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto di sugo di pomodoro. Questo lavoro, di dare alle parole un significato preciso, era costato un bel po' di fatica al mago Linguaggio. Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione. <Le parole sono importanti> amava dire <se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non si capisce più niente> Una notte, dunque, si mise a scombinare un po' le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente. A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi e la lettera acca, ed erano diventati... alberi! Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tarzan. Alle macchine aveva rubato una enne, facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada. Alle torte invece aveva aggiunto una esse, erano diventate tutte storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia. Nelle scuole si era anche divertito ad anagrammare, al momento dell'appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, adesso erano tutti serpenti, e le maestre scappavano via terrorizzate. Poi si era tolto uno sfizio personale: aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era mai piaciuta. Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla. Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi. Andò avanti così per parecchi giorni, con le scarpe  che

diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventavano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare. Quanta confusione! Troppa confusione, e gli uomini non ne potevano più.


Mandarono quindi una delegazione dal mago Linguaggio, a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo. <E va bene> disse Linguaggio <ma solo ad una condizione: che cominciate a usare le parole con il loro giusto significato.I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi. Uguaglianza deve significare davvero che tutti sono uguali e non che alcuni sono più uguali di altri. E per quanto riguarda la guerra...Per quanto riguarda la guerra> lo interruppero gli uomini <ci abbiamo pensato... tienitela pure: è una parola di cui vogliamo fare a meno.


Gino Strada



domenica 13 aprile 2025

Giorgio Bassani

 Non c'è nulla più dell'onesta pretesa di mantenere distinto nella propria vita ciò che è pubblico da ciò che è privato, che ecciti l'interesse indiscreto delle piccole società perbene.

Giorgio Bassani,

Gli occhiali d’oro



Jorge Luis Borges, L'albero degli amici

 Nelle nostre vite esistono persone che ci rendono felici per la semplice casualità di averle incrociate nel nostro cammino.

Alcune percorrono il cammino al nostro fianco, vedendo molte lune passare, altre che vediamo appena tra un passo e l’altro. Tutte le chiamiamo amici e ce ne sono di diversi tipi. Forse ogni foglia di un albero rappresenta uno dei nostri amici.

Il primo che nasce da un germoglio è il nostro amico papà e nostra amica mamma che ci mostrano com’è la vita. Poi vengono gli amici fratelli, con i quali dividiamo il nostro spazio perché possano fiorire come noi. Passiamo a conoscere tutta la famiglia di foglie che rispettiamo e alle quali auguriamo ogni bene.

Ma il destino ci presenta altri amici, che non sapevamo di incontrare nel nostro cammino . Molti di loro li chiamiamo amici dell’anima, del cuore.

Sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene, sanno ciò che ci rende felici. E a volte uno di quegli amici dell’anima si installa nel nostro cuore e allora viene chiamato innamorato. Questo amico da luce ai nostri occhi, musica alle nostre labbra, salti ai nostri piedi.

Ma ci sono anche gli amici “del momento“, di una vacanza di alcuni giorni o di alcune ore. Sono soliti collocare molti sorrisi sul nostro volto, per tutto il tempo in cui siamo vicini. Parliamo di quelli vicino, non possiamo dimenticare gli amici lontani, quelli che sono nella punta dei rami e che quando soffia il vento appaiono sempre tra una foglia e l’altra. Il tempo passa, l'estate se ne va, l’autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono un’altra estate e altre resteranno per molte stagioni.

Però ciò che ci rende più felici è che quelle che sono cadute continuano vicine, aumentando la nostra radice con allegria. Sono momenti di ricordi meravigliosi di quando le incontrammo nel nostro cammino.

Ti auguro, foglia del mio albero, pace, amore, salute, fortuna e prosperità.

Oggi e sempre… semplicemente perché ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé, e si porta via un po’ di noi.

Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non ci avrà lasciato nulla.

Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso.

Jorge Luis Borges, L'albero degli amici





Samuel Barclay Beckett (Dublino, 13 aprile 1906 – Parigi, 22 dicembre 1989)

 "Così finisce l'amore, in protasi, se è amore.”

- Murphy , Samuel Beckett



Samuel Barclay Beckett (Dublino, 13 aprile 1906 – Parigi, 22 dicembre 1989)

 Il 23 ottobre 1969 venne conferito il premio Nobel per la letteratura a Samuel Beckett con la seguente motivazione:

"Trae motivo di elevazione dalla messa a nudo del dissolvimento dell’uomo di oggi".
Beckett apprese la notizia attraverso un telegramma inviatogli dal suo editore francese, Jérôme Lindon:
«Cari Sam e Suzanne. Malgrado tutto ti hanno dato il premio Nobel. Vi consiglio di nascondervi. Affettuosi saluti».
«Che catastrofe!», esclamò Beckett dopo averlo letto, mentre si trovava in vacanza in Tunisia con la moglie Suzanne.



Samuel Beckett (Dublino, 13 aprile 1906 – Parigi, 22 dicembre 1989)

 Le lacrime del mondo sono immutabili. Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chissà dove, smette.

- Samuel Beckett, En attendant Godot, 1952