La curva dei tuoi occhi fa il giro del mio cuore,Paul Eluard
girotondo di danza e di dolcezza,
aureola del tempo, culla notturna e sicura,
i tuoi occhi non m'han sempre veduto,
io non so tutto quello che ho vissuto.
Foglie di luce e schiuma di rugiada,
canne del vento, sorrisi odorati,
ali che rischiarano il mondo,
navi di cielo cariche e di mare,
sorgenti dei colori, a caccia d'ogni suono.
Profumi schiusi da una covata d'aurore
che giace ancora sulla paglia degli astri,
come il giorno deriva da innocenza
intero il mondo dai tuoi occhi puri
e il mio sangue fluisce in quegli sguardi.
martedì 7 luglio 2015
La curva dei tuoi occhi fa il giro del mio cuore
martedì 30 giugno 2015
Pina Bausch (Solingen, 27 luglio 1940 – Wuppertal, 30 giugno 2009)
Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza.
Pina Bausch (Solingen, 27 luglio 1940 – Wuppertal, 30 giugno 2009)
Pina Bausch (Solingen, 27 luglio 1940 – Wuppertal, 30 giugno 2009)
lunedì 29 giugno 2015
domenica 28 giugno 2015
Caos calmo
“…e il bacio che ci diamo è la naturale evoluzione di questa consustanzialità, terminale, ossidrico, definitivo, è il bacio assoluto, che ci scioglie e ci fa colare l’uno dentro l’altra, e ci disperde nella caotica bellezza dell’universo.”
— | Sandro Veronesi, Caos calmo |
venerdì 26 giugno 2015
Mi sa che fuori è primavera
“Ferite d'oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un'antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore.”
— | Concita de Gregorio, Mi sa che fuori è primavera |
Lettera a una professoressa
- Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia la lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.
- Lettera a una professoressa, libro del 1967 scritto da alcuni ragazzi della scuola di Barbiana, sotto la supervisione di Don Lorenzo Milani.
Due nel crepuscolo
Fluisce fra te e me sul belvedere
un chiarore subacqueo che deforma
col profilo dei colli anche il tuo viso.
Sta in un fondo sfuggevole, reciso
da te ogni gesto tuo; entra senz’orma,
e sparisce, nel mezzo che ricolma
ogni solco e si chiude sul tuo passo:
con me tu qui, dentro quest’aria scesa
a sigillare
il torpore dei massi.
Ed io riverso
nel potere che grava attorno, cedo
al sortilegio di non riconoscere
di me più nulla fuor di me; s’io levo
appena il braccio, mi si fa diverso
l’atto, si spezza su un cristallo, ignota
e impallidita sua memoria, e il gesto
già più non m’appartiene;
se parlo, ascolto quella voce attonito,
scendere alla sua gamma più remota
o spenta all’aria che non la sostiene.
Tale nel punto che resiste all’ultima
consunzione del giorno
dura lo smarrimento; poi un soffio
risolleva le valli in un frenetico
moto e deriva dalle fronde un tinnulo
suono che si disperde
tra rapide fumate e i primi lumi
disegnano gli scali.
… le parole
tra noi leggere cadono. Ti guardo
in un molle riverbero. Non so
se ti conosco; so che mai diviso
fui da te come accade in questo tardo
ritorno. Pochi istanti hanno bruciato
tutto di noi: fuorchè due volti, due
maschere che s’incidono, sforzate
di un sorriso.
Eugenio Montale
un chiarore subacqueo che deforma
col profilo dei colli anche il tuo viso.
Sta in un fondo sfuggevole, reciso
da te ogni gesto tuo; entra senz’orma,
e sparisce, nel mezzo che ricolma
ogni solco e si chiude sul tuo passo:
con me tu qui, dentro quest’aria scesa
a sigillare
il torpore dei massi.
Ed io riverso
nel potere che grava attorno, cedo
al sortilegio di non riconoscere
di me più nulla fuor di me; s’io levo
appena il braccio, mi si fa diverso
l’atto, si spezza su un cristallo, ignota
e impallidita sua memoria, e il gesto
già più non m’appartiene;
se parlo, ascolto quella voce attonito,
scendere alla sua gamma più remota
o spenta all’aria che non la sostiene.
Tale nel punto che resiste all’ultima
consunzione del giorno
dura lo smarrimento; poi un soffio
risolleva le valli in un frenetico
moto e deriva dalle fronde un tinnulo
suono che si disperde
tra rapide fumate e i primi lumi
disegnano gli scali.
… le parole
tra noi leggere cadono. Ti guardo
in un molle riverbero. Non so
se ti conosco; so che mai diviso
fui da te come accade in questo tardo
ritorno. Pochi istanti hanno bruciato
tutto di noi: fuorchè due volti, due
maschere che s’incidono, sforzate
di un sorriso.
Eugenio Montale
Iscriviti a:
Post (Atom)