lunedì 24 marzo 2014

Buon compleanno a Dario Fo!

Buon compleanno a Dario Fo, drammaturgo, attore, scrittore, paroliere, scenografo, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1997, nato a Sangiano il 24 marzo 1926

ACCADDE OGGI

70 anni fa l'eccidio delle Fosse Ardeatine

Roma, 24 marzo 1944 :335 civili e militari italiano vennero fucilati dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano compiuto da membri dei GAP romani contro truppe germaniche in transito in via Rasella, attentato che aveva causato, sul posto e nelle ore successive, la morte di 33 soldati del reggimento "Bozen appartenente alla Ordnungspolizei dell'esercito tedesco, reclutato in Alto Adige. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, esso divenne l'evento-simbolo della durezza dell'occupazione tedesca di Roma.
Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.


domenica 23 marzo 2014

Umberto Eco

Ciascuno di noi ogni tanto è cretino, imbecille, stupido o matto. Diciamo che la persona normale è quella che mescola in misura ragionevole tutte queste componenti, questi tipi ideali.
- Umberto Eco, Il pendolo di Foucault





Il libro vincitore del sondaggio

Mi accingo a rileggerlo...

La felicità è un abbandono che a mezzanotte conduce alla casa col giardino di aranci e limoni dove entriamo in punta di piedi e incuranti dei poliziotti che controllano ogni tua mossa: due agli angoli della strada e due sul marciapiede. È un albero di gelsomini che fiorisce sotto la finestra alla quale ci siamo affacciati perché tu ne colga un ciuffo e tu me l’offra insieme alla tua timidezza. È una stanza di cui non vedo più lo squallore, le poltrone unte e sbucciate, i soprammobili brutti, gli assurdi diplomi in cornice: perché ci sei tu. È un bacio inaspettatamente pudico sulla mia fronte, mentre il vento fruscia tra i rami d’ulivo e ci porta la cantilena del mare. È una lacrima che inaspettatamente ti scivola giù per la guancia mentre sussurri: «Sono stato tanto solo. Non voglio stare più solo. Giura che non mi lascerai mai». È il tuo volto serio che si avvicina al mio volto serio, i tuoi occhi commossi che affogano nei miei occhi commossi, le tue braccia incerte che cercano le mie braccia incerte, neanche fossimo due ragazzi al loro primo incontro d’amore o sapessimo che ci accingiamo a compiere un rito da cui dipenderanno tutti i nostri anni a venire. È un silenzio lungo, impressionante, mentre le nostre labbra si toccano con esitazione, si uniscono con decisione, e i nostri corpi si allacciano senza timore, per adagiarsi palpitando nel buio, travolti da un fiume di dolcezza che abbaglia, cercando gesti dimenticati, agognati, e trovandoli per penetrarsi con armonia, di nuovo ed ancora, ed ancora ed ancora, quasi dovesse durare un’eternità. 
Oriana Fallaci, Un uomo

Un uomo, di Oriana Fallaci

E forse il tuo carattere non mi piaceva, né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto inguaribile, che ormai non potevo più concepire la mia vita senza di te. Ne facevi parte quanto il mio respiro, le mie mani, il mio cervello, e rinunciare a te era rinunciare a me stessa, ai miei sogni che erano i tuoi sogni, alle tue illusioni che erano le mie illusioni, alle tue speranze che erano le mie speranze, alla vita! E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo elencare tutti i segni, i fenomeni.
— Oriana Fallaci, Un uomo

Oriana Fallaci

«Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo connoi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. 
- Oriana Fallaci, Se il sole muore

Oriana Fallaci

La morte di un amore è come la morte di una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l’hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. Ti sembra di essere rimasto con un occhio solo, un orecchio solo, un polmone solo, un braccio solo, una gamba sola, il cervello dimezzato, e non fai che invocare la metà perduta di te stesso: colui o colei con cui ti sentivi intero. Nel farlo non ricordi nemmeno le sue colpe, i tormenti che ti inflisse, le sofferenze che ti impose. Il rimpianto ti consegna la memoria d’una persona pregevole anzi straordinaria, d’un tesoro unico al mondo. Né serve a nulla dirsi che ciò è un offesa alla logica: un insulto all’intelligenza, un masochismo (in amore la logica non serve, l’intelligenza non giova, e il masochismo raggiunge vette da psichiatria). Poi un po’ per volta ti passa. Magari senza che tu ne sia consapevole lo strazio si smorza, si dissolve, il vuoto diminuisce, e il rifiuto di rassegnarti ad esso scompare. Ti rendi finalmente conto che l’oggetto del tuo amore morto non era né una persona pregevole anzi straordinaria, né un tesoro unico al mondo, lo sostituisci con un’altra metà o supposta metà di te stesso, e per un certo periodo recuperi la tua interezza. Però sull’anima rimane uno sfregio che la imbruttisce, un livido nero che la deturpa, e ti accorgi di non essere più quello o quella che eri prima del lutto. La tua energia s’è infiacchita, la tua curiosità s’è affievolita, e la tua fiducia nel futuro s’è spenta perchè hai scoperto d’aver sprecato un pezzo di esistenza che nessuno ti rimborserà. Ecco perché, anche se un amore langue senza rimedio, lo curi e ti sforzi di guarirlo. Ecco perché, anche se in stato di coma boccheggia, cerchi di rinviare l’istante in cui esalerà l’ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere un giorno, un’ora, un minuto. Ecco infine perché, anche quando smette di respirare, esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo.”  
-Oriana Fallaci, Insciallah