"Dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre." "Dammi Signore, un' anima che abbia occhi per la bellezza e la purezza, che non si lasci impaurire dal peccato e che sappia raddrizzare le situazioni.
Dammi un' anima che non conosca noie, fastidi, mormorazioni, sospiri, lamenti.
Non permettere che mi preoccupi eccessivamente di quella cosa invadente che chiamo 'io'. Dammi il dono di saper ridere di una facezia, di saper cavare qualche gioia dalla vita e anche di farne partecipi gli altri.
Signore dammi il dono dell'umorismo."
(Tommaso Moro 1587: Preghiere della Torre)
venerdì 7 febbraio 2014
Accadde oggi: il falò delle vanità
7 febbraio 1497: A Firenze, dopo la cacciata dei Medici, i seguaci del domenicano Girolamo Savonarola sequestrarono e bruciarono pubblicamente migliaia di oggetti nella città, durante la festa di martedì grasso. Lo scopo di questa furia distruttiva era l'eliminazione di qualsiasi oggetto considerato potenzialmente peccaminoso, inducente allo sviluppo della vanità, comprendendo articoli voluttuari come specchi,cosmetici, vestiti lussuosi, strumenti musicali. Altri bersagli includevano libri "immorali", manoscritti contenenti canzoni "secolari" o "profane", e dipinti. Tra i vari oggetti distrutti in questa campagna vi furono alcuni dipinti raffiguranti scene della mitologia classica, realizzati da Sandro Botticelli, che egli stesso provvide ad abbandonare sul rogo.
giovedì 6 febbraio 2014
Ogni giorno bisogna puntare i piedi
Ognuno, ogni giorno, deve opporsi e resistere. [...] Ogni giorno bisogna puntare i piedi.
Ho sposato un comunista, di Philip Roth
Pastorale americana, Philip Roth
Rimane il fatto che, in ogni modo, capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite... Beh, siete fortunati.
La Scapigliatura e il 6 febbraio
« La Scapigliatura è composta da individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado possibile della scala sociale. […]
Come il Mefistofele del Nipote, essa ha dunque due aspetti, la mia Scapigliatura.
Da un lato: un profilo più italiano che Meneghino (milanese), pieno di brio, di speranza e di amore; e rappresenta il lato simpatico e forte di questa classe, inconscia della propria potenza, propagatrice delle brillanti utopie, focolare di tutte le idee generose, anima di tutti gli elementi geniali, artistici, poetici, rivoluzionari del proprio paese; che per ogni causa bella, grande, o folle balza d'entusiasmo; che del riso conosce la sfumatura arguta come lo scroscio franco e prolungato; che ha le lagrime d'un fanciullo sul ciglio, e le memorie feconde nel cuore.
Dall'altro lato, invece, un volto smunto, solcato, cadaverico; su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizzo e nel giuoco; su cui si adombra il segreto d'un dolore infinito... i sogni tentatori di una felicità inarrivabile, e le lagrime di sangue, e le tremende sfiducie, e la finale disperazione. »
Da un lato: un profilo più italiano che Meneghino (milanese), pieno di brio, di speranza e di amore; e rappresenta il lato simpatico e forte di questa classe, inconscia della propria potenza, propagatrice delle brillanti utopie, focolare di tutte le idee generose, anima di tutti gli elementi geniali, artistici, poetici, rivoluzionari del proprio paese; che per ogni causa bella, grande, o folle balza d'entusiasmo; che del riso conosce la sfumatura arguta come lo scroscio franco e prolungato; che ha le lagrime d'un fanciullo sul ciglio, e le memorie feconde nel cuore.
Dall'altro lato, invece, un volto smunto, solcato, cadaverico; su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizzo e nel giuoco; su cui si adombra il segreto d'un dolore infinito... i sogni tentatori di una felicità inarrivabile, e le lagrime di sangue, e le tremende sfiducie, e la finale disperazione. »
(Cletto Arrighi, Introduzione a La Scapigliatura e il 6 febbraio)
La Scapigliatura è un movimento letterario sorto a Milano tra il 1860 e il 1880. Il nome deriva dal romanzo di Cletto Arrighi "La Scapigliatura e il 6 febbraio" e vuole esprimere la novità, di contenuti e di linguaggio, e l'anticonformismo degli scrittori che ne fanno parte. Gli scapigliati non sono una scuola, ma un gruppo di giovani che si frequentano anche nella vita quotidiana: hanno giornali propri, vivono un diretto legame tra la scrittura e l'esperienza biografica, sono accomunati dal ribellismo e dal rifiuto dei modelli dominanti.
Oggetto dei loro attacchi sono le convenzioni sociali e il modello economico della classe borghese, da cui pure provengono, con il mito del denaro e del successo; il nuovo Stato post- unitario, che ha tradito gli ideali risorgimentali e ne ha segnato il fallimento; la religione cristiana; il Romanticismo sentimentale di Prati e Aleardi, ma anche Manzoni. A tutto questo contrappongono l'attenzione alle condizioni di vita del proletariato urbano, il culto dell'eccesso (alcol, droghe) come provocazione, l'impegno pacifista, l'aspirazione a una religiosità intima e personale. I precedenti della Scapigliatura sono costituiti dalla Bohéme parigina, da Baudelaire, dal Naturalismo francese, e, in Italia, da Giuseppe Rovani.
L'eterogeneità dei modelli rende conto della contraddittorietà dell'esperienza scapigliata, incline più alla distruzione dell'esistente che alla creazione di un mondo nuovo. Più in generale le opere scapigliate oscillano tra la volontà di rappresentare realisticamente la realtà nei suoi aspetti più degradati e di studiare scientificamente i casi umani e le malattie mentali, e l'interesse per l'irrazionale, il fantastico, la morte, il rimpianto per l'infanzia e l'evocazione memoriale. Quello scapigliato non è tuttavia vero realismo, perchè si limita alla rapperentazione del brutto, scivola spesso nel patetico o scade nel bozzettismo e nel figurinismo.
Il merito della Scapigliatura ( oltre alla creazione di una nuova estetica basata sul brutto, il malato, l'irregolare) è soprattutto nell'ardito sperimentalismo. Si assiste ad una moltiplicazione dei soggetti, al rifiuto delle forme pure e alla mescolanza dei generi letterari e dei registri, al tentativo di fusione tra poesia e prosa, sul modello baudelairiano. Nell'ambito della narrativa, si assiste alla disarticolazione delle strutture tradizionali, che arriva fin quasi alla rinuncia all'intreccio; nella poesia, alla divaricazione tra metro e ritmo e alla frantumazione del verso, con l'impiego di versi brevi e strutture strofiche poco usate. Il linguaggio spazia dal lessico della modernità e della vita quotidiana a quello alto della tradizione, dai neologismi agli arcaismi , con una singolare attenzione per i lessici specialistici.
A Zacinto, di Ugo Foscolo
« Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura. »
Scritto fra il 1802 e il 1803, il sonetto"A Zacinto" di Ugo Foscolo è incentrato sulla rievocazione della terra natale e sulla proiezione delle esperienze e delle passioni personali nel mito greco. Venere, Ulisse e Omero ne sono i modelli: la prima incarna i miti dell'amore e della bellezza; il secondo, il mito dell'esilio connesso con i motivi della gloria e del fato; il terzo, il mito della poesia. Il tema centrale della lirica è quello dell'esilio, associato all'idea di morte e sepoltura non confortata dalle lacrime, dal ricordo, dalla gloria.
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura. »
Scritto fra il 1802 e il 1803, il sonetto"A Zacinto" di Ugo Foscolo è incentrato sulla rievocazione della terra natale e sulla proiezione delle esperienze e delle passioni personali nel mito greco. Venere, Ulisse e Omero ne sono i modelli: la prima incarna i miti dell'amore e della bellezza; il secondo, il mito dell'esilio connesso con i motivi della gloria e del fato; il terzo, il mito della poesia. Il tema centrale della lirica è quello dell'esilio, associato all'idea di morte e sepoltura non confortata dalle lacrime, dal ricordo, dalla gloria.
Niccolò Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, 10 settembre 1827)
Da' colli Euganei, 11 ottobre 1797.
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so; ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo: quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri.
"Ultime lettere di Jacopo Ortis" di Ugo Foscolo - Incipit
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so; ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo: quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri.
"Ultime lettere di Jacopo Ortis" di Ugo Foscolo - Incipit
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