Il periodico "La Voce", fondato da Giuseppe Prezzolini, appare a Firenze nel dicembre 1908. Nel gruppo redazionale, oltre a Prezzolini, si ritrovano fra gli altri Giovanni Papini e Ardengo Soffici, il modernista Romolo Murri, lo scrittore Scipio Slataper e i liberaldemocratici Giovanni Amendola e Gaetano Salvemini. Tra i collaboratori, vi sono tantissimi personaggi di notevole spessore intellettuale, accomunati tutti dall'insoddisfazione verso l'Italia giolittiana e da una confusa ansia di novità.
Nell'editoriale di presentazione della rivista, scritto da Prezzolini, si afferma l'intento di essere onesti e sinceri.
Questa sincerità, collocata fin da subito al centro del programma della "Voce", si tradurrà, in gran parte degli scrittori "vociani", in una sostanziale propensione all'autobiografismo; mentre l'onestà, di cui parla Prezzolini, imprimerà alle confessioni dei vociani un'inconfondibile cifra di lucida e radicale moralità.
"La Voce" esprime una forte esigenza di rinnovamento della cultura italiana entro una dimensione europea, nella prospettiva di un più ampio progetto di politica culturale globale.
Centrale fin da subito è l'impegno filosofico della rivista, che si mostra aperta ad una molteplicità di tendenze di pensiero, da Marx a Sorel, dal pragmatismo americano all'idealismo crociano.
Accanto a questioni teoriche, vengono discussi anche problemi più drammatici della realtà italiana del tempo: assai ampio, ad esempio, èlo spazio riservato alla questione meridionale. Nel 1914 "La voce" si scinde in due riviste distinte: da un lato "La Voce letteraria" sotto la direzione di Giuseppe De RObertis; dall'altro "La Voce politica", periodico di propaganda interventista, antigiolittiana e antisocialista, diretto da Prezzolini, che chiuderà le pubblicazioni solo dopo un anno.
"La Voce Letteraria" di De Robertis assume invece un profilo di disimpegno politico, dichiarandosi a favore dell'arte per l'arte, ossia del valore puro dell'espressione poetica. De Robertis, in particolare, sostiene il frammentismo lirico, cioè un'espressione poetica essenziale, in polemica con l'uso sovrabbondante della parola tipico dei dannunziani e dei futuristi.
Giuseppe Prezzolini