“E non lo so se sia il destino oppure il caso, ma in questi tempi così ostili e incerti mi prende l’innocente e un po’ ambizioso proposito di amarti.. Perché senza due corpi e due pensieri differenti, finisce il mondo.”
— Giorgio Gaber, Proposito d’amare
mercoledì 1 gennaio 2014
Giorgio Gaber, nome d'arte di Giorgio Gaberscik (Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003)
“Quando sarò capace d’amare mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere. Un amore senza sensi di colpa, senza alcun rimorso, egoista e naturale come un fiume che fa il suo corso. Senza cattive o buone azioni, senza altre strane deviazioni che se anche il fiume le potesse avere, andrebbe sempre al mare.”
— Giorgio Gaber
— Giorgio Gaber
Giorgio Gaber, nome d'arte di Giorgio Gaberscik (Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003)
Testo L'Equazione (prosa) - 1995/1996
E quando dentro ai tuoi pensieri si insinua un senso di amarezza…
E quando avverti una crescente mancanza di energia…
E quando ti senti profondamente solo…
Ecco, quello è il giorno dell’appuntamento col bilancio della tua vita.
Generalmente non è un bel giorno. E non tanto perché il cielo si fa un po’ più grigio… quanto perché tu ti fai un po’ più schifo.
Dunque, il lavoro. Il lavoro non manca, voglio dire, c’è anche chi ce l’ha. Ma in genere non gode.
L’impegno sociale, morale, civile… mi viene da ridere.
La salute, finché uno ce l’ha non ci pensa…
Non resta che l’amore, la sfera degli affetti, dei sentimenti, che, forse, dentro, è la cosa che conta di più.
Poi quella, almeno, ce la scegliamo noi.
Un disastro.
Ma se si fallisce sempre, ci sarà una ragione! Dov’è che si sbaglia? Colpa mia… colpa tua… No, a queste cose non ci credo. L’errore dev’essere prima. Non una cosa recente. Probabilmente da bambino: un errore che ha influenzato tutta la mia vita affettiva; forse il famoso Edipo, forse “mamma c’è n’è una sola”. Anche troppa. Oppure nonni, fratelli, zii… insomma, figure, fotografie dell’infanzia che rimangono dentro di noi per tutta la vita.
Sì, un errore innocente, impercettibile, che poi col tempo si è ripetuto, ingigantito, fino a diventare gravissimo, irreparabile.
Già, ma perché l’errore si ingigantisce? Dev’essere un po’ come quando a scuola facevamo le equazioni algebriche. Cioè, tu fai uno sbaglietto, una svista, un più o un meno, chi lo sa? È che poi te lo porti dietro e nella riga sotto cominci già a vedere degli strani numeri. Vabbe’, dici, tanto poi si semplifica. E poi numeri ancora più grossi, brutti, sgraziati anche. E poi addirittura enormi, incontenibili, schifosi.
E alla fine:
x = (472827324 / radice di 87225035) + c
E ora prova un po’ a semplificare!
Non c’è niente da fare. La matematica deve avere una sua estetica: x = 2. Bello, la semplicità!
Forse, per fare bene un’equazione è sufficiente avere delle buone basi.
Ma per fare una storia d’amore vera e duratura è necessario essere capaci di scrostare quella vernice indelebile con cui abbiamo dipinto i nostri sentimenti.
E quando avverti una crescente mancanza di energia…
E quando ti senti profondamente solo…
Ecco, quello è il giorno dell’appuntamento col bilancio della tua vita.
Generalmente non è un bel giorno. E non tanto perché il cielo si fa un po’ più grigio… quanto perché tu ti fai un po’ più schifo.
Dunque, il lavoro. Il lavoro non manca, voglio dire, c’è anche chi ce l’ha. Ma in genere non gode.
L’impegno sociale, morale, civile… mi viene da ridere.
La salute, finché uno ce l’ha non ci pensa…
Non resta che l’amore, la sfera degli affetti, dei sentimenti, che, forse, dentro, è la cosa che conta di più.
Poi quella, almeno, ce la scegliamo noi.
Un disastro.
Ma se si fallisce sempre, ci sarà una ragione! Dov’è che si sbaglia? Colpa mia… colpa tua… No, a queste cose non ci credo. L’errore dev’essere prima. Non una cosa recente. Probabilmente da bambino: un errore che ha influenzato tutta la mia vita affettiva; forse il famoso Edipo, forse “mamma c’è n’è una sola”. Anche troppa. Oppure nonni, fratelli, zii… insomma, figure, fotografie dell’infanzia che rimangono dentro di noi per tutta la vita.
Sì, un errore innocente, impercettibile, che poi col tempo si è ripetuto, ingigantito, fino a diventare gravissimo, irreparabile.
Già, ma perché l’errore si ingigantisce? Dev’essere un po’ come quando a scuola facevamo le equazioni algebriche. Cioè, tu fai uno sbaglietto, una svista, un più o un meno, chi lo sa? È che poi te lo porti dietro e nella riga sotto cominci già a vedere degli strani numeri. Vabbe’, dici, tanto poi si semplifica. E poi numeri ancora più grossi, brutti, sgraziati anche. E poi addirittura enormi, incontenibili, schifosi.
E alla fine:
x = (472827324 / radice di 87225035) + c
E ora prova un po’ a semplificare!
Non c’è niente da fare. La matematica deve avere una sua estetica: x = 2. Bello, la semplicità!
Forse, per fare bene un’equazione è sufficiente avere delle buone basi.
Ma per fare una storia d’amore vera e duratura è necessario essere capaci di scrostare quella vernice indelebile con cui abbiamo dipinto i nostri sentimenti.
martedì 31 dicembre 2013
Buon 2014 !
Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c’è una grossa novità,
l’anno vecchio è finito ormai
ma qualcosa ancora qui non va.
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c’è una grossa novità,
l’anno vecchio è finito ormai
ma qualcosa ancora qui non va.
Si esce poco la sera compreso quando è festa
e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
e si sta senza parlare per intere settimane,
e a quelli che hanno niente da dire
del tempo ne rimane.
e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
e si sta senza parlare per intere settimane,
e a quelli che hanno niente da dire
del tempo ne rimane.
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando
sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno.
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno,
anche i muti potranno parlare
mentre i sordi già lo fanno.
E si farà l’amore ognuno come gli va,
anche i preti potranno sposarsi
ma soltanto a una certa età,
e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
saranno forse i troppo furbi
e i cretini di ogni età.
Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico
e come sono contento
di essere qui in questo momento,
vedi, vedi, vedi, vedi,
vedi caro amico cosa si deve inventare
per poterci ridere sopra,
per continuare a sperare.
E se quest’anno poi passasse in un istante,
vedi amico mio
come diventa importante
che in questo istante ci sia anch’io.
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
io mi sto preparando è questa la novità
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando
sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno.
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno,
anche i muti potranno parlare
mentre i sordi già lo fanno.
E si farà l’amore ognuno come gli va,
anche i preti potranno sposarsi
ma soltanto a una certa età,
e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
saranno forse i troppo furbi
e i cretini di ogni età.
Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico
e come sono contento
di essere qui in questo momento,
vedi, vedi, vedi, vedi,
vedi caro amico cosa si deve inventare
per poterci ridere sopra,
per continuare a sperare.
E se quest’anno poi passasse in un istante,
vedi amico mio
come diventa importante
che in questo istante ci sia anch’io.
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
io mi sto preparando è questa la novità
I Petrali calabresi
I Petrali sono dei dolci natalizi tipici di Reggio Calabria.
Sono dei dolci di pastafrolla ripieni a forma di mezzaluna, con all'interno un ripieno ottenuto facendo macerare per molti giorni nel vino cotto e nel caffè zuccherato un tritato di fichi secchi, noci, mandorle, buccia di arancia e di mandarino.
L'esterno è di solito guarnito con una spennellata di rosso d'uovo sbattuto e diavoletti colorati (piccole palline di zucchero colorate); alternativamente possono essere guarniti con glassa di zucchero, con cioccolato fondente o cioccolato bianco.
Le mostre imperdibili del 2014
LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA
Il mito della Golden Age
Da Vermeer a Rembrandt
Capolavori dl Mauritshuis
Bologna, Palazzo Fava
8 febbraio - 25 maggio 2014
APERTURA DELLE PRENOTAZIONI 11 NOVEMBRE 2013
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Per informazioni +39 0422 429999
Giovanni Agostino Placido Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912)
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte.
Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, imagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell'aurora, sotto le porpore iridescenti dell'occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l'oblio. Tale potenza nascosta donde s'irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l'orma nel cielo, come l'eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia. (Giovanni Pascoli – "Un poeta di lingua morta" del 1898, contenuta nella raccolta "Pensieri e discorsi" del 1914)
Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, imagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell'aurora, sotto le porpore iridescenti dell'occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l'oblio. Tale potenza nascosta donde s'irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l'orma nel cielo, come l'eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia. (Giovanni Pascoli – "Un poeta di lingua morta" del 1898, contenuta nella raccolta "Pensieri e discorsi" del 1914)
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