lunedì 16 giugno 2014

La favola di Amore e Psiche contenuta nelle Metamorfosi di Apuleio

Psiche, una bellissima fanciulla che non riesce a trovare marito, diventa l'attrazione di tutti i popoli vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Venere. La divinità, saputa l'esistenza di Psiche, gelosa per il nome usurpatole, invia suo figlio Amore (o Cupido) perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra e sia coperta dalla vergogna di questa relazione. I genitori di Psiche, nel frattempo, consultano un oracolo che risponde:
« "Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un'alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l'aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d'Averno e i regni bui."(IV, 33) »
Psiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lì viene lasciata sola. Tuttavia il dio si innamora della mortale e, con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua; così per molte notti Eros e Psiche bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto; Psiche è prigioniera nel castello di Cupido, legata da una passione che le travolge i sensi.
Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Cupido le aveva detto di evitare, con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, nella paura che l'amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:
« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »
Fallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba, Psiche straziata dal dolore tenta più volte il suicidio, ma gli dei glielo impediscono. Psiche inizia così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna, sperando di placarne l'ira per aver disonorato il nome del figlio.
Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per l'amata di Cupido. La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fece per avvicinarsi alle dette pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consiste nel raccogliere dell'acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall'aquila dello stesso Giove.
L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità, apre l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. Questa volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglia dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dalla ampolla e va a domandare aiuto a suo padre.
Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve con l'amante l'aiuto di Giove: mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.
Più tardi nasce la figlia, concepita da Psiche durante una delle tante notti di passione dei due amanti prima della fuga dal castello. Questa viene chiamata Voluttà, ovvero Piacere.

domenica 15 giugno 2014

Borges

Sento già la nostalgia di quel momento in cui sentirò la nostalgia di quel momento.
J.L. Borges

Sergio Endrigo (Pola, 15 giugno 1933 – Roma, 7 settembre 2005)

"La solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore."
Sergio Endrigo - Canzone per te

Fernando Pessoa

"Debbono esserci isole verso il sud delle cose dove soffrire è qualcosa di più dolce, dove vivere costa meno al pensiero, e dove è possibile chiudere gli occhi e addormentarsi al sole e svegliarsi senza dover pensare."
—Fernando Pessoa

JORGE LUIS BORGES - CONGEDO

JORGE LUIS BORGES - CONGEDO
Si devono levare fra il mio amore
e me, trecento notti come trecento muri
e sarà il mare una magia fra noi.
Avremo soltanto ricordi.
Oh sere meritate con la pena,
notti con la speranza di guardarti,
campi della mia strada, firmamento
che io vedo perdendo...
Assoluta come un marmo farà
tristi altre sere la tua assenza.
(da Fervore di Buenos Aires, 1923 – Traduzione di Luciano Luisi)

Anna Frank (Francoforte sul Meno, 12 giugno 1929 – Bergen-Belsen, marzo 1945)

“…Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà. È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’ intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte il rombo l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili”.
Anna Frank

Fernando Pessoa

“Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un’idea; avere quell’indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell’utilità della sua conoscenza.
Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero.
No: niente legami, neppure con noi stessi! Liberi da noi stessi e dagli altri, contemplativi privi di estasi, pensatori privi di conclusioni, vivremo, liberi da Dio, il piccolo intervallo che le distrazioni dei carnefici concedono alla nostra estasi da cortile.”
Il libro dell’inquietudine
Fernando Pessoa

Non rinunciare a provare di fare quello che vuoi veramente fare. Dove c'è amore ed ispirazione non credo che si possa sbagliare.
Ella Fitzgerald (Newport News, 25 aprile 1917 – Beverly Hills, 15 giugno 1996)



sabato 14 giugno 2014

Leopardi

Secondo autografo de «L'infinito» di Giacomo Leopardi (Visso, Archivio Comunale)

Gesualdo Bufalino

“Si scrive per guarire se stessi, per sfogarsi, per lavarsi il cuore. Si scrive per dialogare anche con un lettore sconosciuto. Ritengo che nessuno senza memoria possa scrivere un libro, che l’uomo sia nessuno senza memoria. Io credo di essere un collezionista di ricordi, un seduttore di spettri. La realtà e la finzione sono due facce intercambiabili della vita e della letteratura. Ogni sguardo dello scrittore diventa visione, e viceversa: ogni visione diventa uno sguardo. In sostanza è la vita che si trasforma in sogno e il sogno che si trasforma in vita, così come avviene per la memoria. La realtà è così sfuggente ed effimera… Non esiste l’attimo in sé, ma esiste l’attimo nel momento in cui è già passato. Piuttosto che vagheggiare un futuro vaporoso ed elusivo, preferisco curvarmi sui fantasmi di ieri senza che però mi impediscano di vivere l’oggi nella sua pienezza.”
— Gesualdo Bufalino, Bufalino: io, collezionista di ricordi, seduttore di spettri, Il Messaggero

Salvatore Quasimodo


Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. 
Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo

Ho tutta l’anima incrinata di brividi di stelle.
— Salvatore Quasimodo, Albore

Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968)

Un po’ di sole, 
una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
- Salvatore Quasimodo

Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense, 18 novembre 1911 – Roma, 14 giugno 2000)

“La felicità privata è la sola protezione che ci sia concessa contro l’angoscia della storia.”
— ATTILIO BERTOLUCCI, Camera da letto (frammento escluso)

Jorge Luis Borges

Chi abbraccia una donna è Adamo. La donna è Eva.
Tutto accade per la prima volta.
Ho visto una cosa bianca in cielo. Mi dicono che è la luna, ma
che posso fare con una parola e con una mitologia?
Gli alberi mi fanno poco paura. Sono così belli.
I tranquilli animali si avvicinano perché io gli dica il loro nome.
I libri della biblioteca sono senza lettere. Se li apro appaiono.
Sfogliando l’atlante progetto la forma della Sumatra.
Che accende un fiammifero al buio sta inventando il fuoco.
Nello specchio c’è un altro che spia.
Chi guarda il mare vede l’Inghilterra.
Chi pronuncia un verso di Liliencron partecipa alla battaglia.
Ho sognato Cartagine e le legioni che desolarono Cartagine.
Ho sognato la spada e la bilancia.
Sia lodato l’amore che non ha né possessore né posseduta, ma in cui entrambi si donano.
Sia lodato l’incubo che ci rivela che possiamo creare l’inferno.
Chi si bagna in un fiume si bagna nel Gange.
Chi guarda una clessidra vede la dissoluzione di un impero.
Chi maneggia un pugnale prevede la morte di Cesare.
Chi dorme è tutti gli uomini.
Ho visto nel deserto la giovane Sfinge appena scolpita.
Non c’è nulla di antico sotto il sole.
Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno.
Chi legge le mie parole sta inventandole.

Jorge Luis Borges (La cifra, 1981)

Giacomo Leopardi ( Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837)

La finestra da cui Giacomo Leopardi guardava Silvia...
A SILVIA 
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovanezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano


venerdì 13 giugno 2014

"Alla primavera, o delle favole antiche" , Giacomo Leopardi

Perchè i celesti danni 
ristori il sole, e perchè l'aure inferme 
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta 
Delle nubi la grave ombra s'avvalla; 
Credano il petto inerme 
Gli augelli al vento, e la diurna luce 
Novo d'amor desio, nova speranza 
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte 
Pruine induca alle commosse belve; 
Forse alle stanche e nel dolor sepolte 
Umane menti riede 
La bella età, cui la sciagura e l'atra 
Face del ver consunse 
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti 
Di febo i raggi al misero non sono 
In sempiterno? ed anco, 
Primavera odorata, inspiri e tenti 
Questo gelido cor, questo ch'amara 
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara? 

Vivi tu, vivi, o santa 
Natura? vivi e il dissueto orecchio 
Della materna voce il suono accoglie? 
Già di candide ninfe i rivi albergo, 
Placido albergo e specchio 
Furo i liquidi fonti. Arcane danze 
D'immortal piede i ruinosi gioghi 
Scossero e l'ardue selve (oggi romito 
Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre 
Meridiane incerte ed al fiorito 
Margo adducea de' fiumi 
Le sitibonde agnelle, arguto carme 
Sonar d'agresti Pani 
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda 
Vide, e stupì, che non palese al guardo 
La faretrata Diva 
Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda 
Polve tergea della sanguigna caccia 
Il niveo lato e le verginee braccia. 

Vissero i fiori e l'erbe, 
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli 
Aure, le nubi e la titania lampa 
Fur dell'umana gente, allor che ignuda 
Te per le piagge e i colli, 
Ciprigna luce, alla deserta notte 
Con gli occhi intenti il viator seguendo, 
Te compagna alla via, te de' mortali 
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri 
Cittadini consorzi e le fatali 
Ire fuggendo e l'onte, 
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime 
Selve remoto accolse, 
Viva fiamma agitar l'esangui vene, 
Spirar le foglie, e palpitar segreta 
Nel doloroso amplesso 
Dafne o la mesta Filli, o di Climene 
Pianger credè la sconsolata prole 
Quel che sommerse in Eridano il sole. 

Nè dell'umano affanno, 
Rigide balze, i luttuosi accenti 
Voi negletti ferìr mentre le vostre 
Paurose latebre Eco solinga, 
Non vano error de' venti, 
Ma di ninfa abitò misero spirto, 
Cui grave amor, cui duro fato escluse 
Delle tenere membra. Ella per grotte, 
Per nudi scogli e desolati alberghi, 
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte 
Nostre querele al curvo 
Etra insegnava. E te d'umani eventi 
Disse la fama esperto, 
Musico augel che tra chiomato bosco 
Or vieni il rinascente anno cantando, 
E lamentar nell'alto 
Ozio de' campi, all'aer muto e fosco, 
Antichi danni e scellerato scorno, 
E d'ira e di pietà pallido il giorno. 

Ma non cognato al nostro 
Il gener tuo; quelle tue varie note 
Dolor non forma, e te di colpa ignudo, 
Men caro assai la bruna valle asconde. 
Ahi ahi, poscia che vote 
Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono 
Per l'atre nubi e le montagne errando, 
Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro 
In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano 
Il suol nativo, e di sua prole ignaro 
Le meste anime educa; 
Tu le cure infelici e i fati indegni 
Tu de' mortali ascolta, 
Vaga natura, e la favilla antica 
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, 
E se de' nostri affanni 
Cosa veruna in ciel, se nell'aprica 
Terra s'alberga o nell'equoreo seno, 
Pietosa no, ma spettatrice almeno.

Fernando Pessoa

Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura,
una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.
 - Fernando Pessoa

Fernando Pessoa

Ho mal di testa e di universo.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine

Il libro dell'inquietudine

Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo.” 
- Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Fernando Pessoa

“Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi.”
— Fernando Pessoa

Erri De Luca

" Ora nella fotografia che ci ferma io potrei scendere a questa fermata. Ti verrei incontro attraversando la strada. Potremmo ancora avere un seguito. Verrei a darti il braccio. Cosa faremmo? Noi capiremmo. Sottobraccio capiremmo tutta la nostra vita. La vedremmo nelle separazioni che non ci hanno indebolito l'affetto, nei ritorni che non ce l'hanno rinsaldato." 
(Erri De Luca, "Non ora, non qui")

Fernando Pessoa

Non so se è amore che possiedi o amore che simuli
quello che mi dai.
Dammelo. Questo mi basta.
Se non lo sono più per età,
che io sia giovane per sbaglio.
Poco gli déi ci danno, e quel poco è illusorio.
E tuttavia, quando ce lo danno, pur illusorio,
come dono è autentico.
Lo accolgo, chiudendo gli occhi: mi basta.
Ma che pretendo di più?
(Fernando Pessoa)


Il libro dell'inquietudine di Fernando Pessoa

Sto scrivendo, è la tarda mattinata domenicale di un'ampia giornata di luce soave in cui, sui tetti della città ininterrotta, l'azzurro sempre inedito del cielo chiude nell'oblio la misteriosa esistenza degli astri. Anche in me è domenica...
Anche il mio cuore va in una chiesa che non sa dov'è, e va vestito con un abito di velluto - fanciullo, con il volto arrossato dalle prime impressioni, sorridendo senza occhi tristi sopra il colletto molto grande.
Tratto da "Il libro dell'inquietudine" di Fernando Pessoa

Fernando Pessoa

L' amore e' la piu' carnale delle illusioni.
( Fernando Pessoa, "Il libro dell' inquietudine")

giovedì 12 giugno 2014

Margherita Hack

"Noi atei crediamo di dover agire secondo coscienza per un principio morale, non perché ci aspettiamo una ricompensa in Paradiso."
 Margherita Hack


Sandro Penna


Sandro Penna


Sandro Penna

“La vita… è ricordarsi di un risveglio 
triste in un treno all’alba: aver veduto 
fuori la luce incerta: aver sentito 
nel corpo rotto la malinconia 
vergine e aspra dell’aria pungente. 
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.”
— Sandro Penna, Poesie - [1927-1938]


Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977)

Mi adagio nel mattino
di primavera. Sento
nascere in me scomposte
aurore. Io non so più
se muoio o se rinasco.
Sandro Penna

Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977)

Io vivere vorrei addormentato 
entro il dolce rumore della vita. 

(Sandro Penna, da Poesie)

mercoledì 11 giugno 2014

Il contrario di uno

La sorpresa di non sedermi accanto, di sedermi e basta, di parlar agli altri e non guardarla mentre mi ascoltava, la sorpresa di parlare e basta, e tutto il resto del da farsi senza una sua parola, il da farsi e basta, mi faceva sbandare, la sorpresa.
- Erri De Luca, Il contrario di uno

Accadde oggi

11/06/1984 : muore a Padova il segretario generale del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer: era stato colpito da un ictus il 7 giugno durante un comizio elettorale.

martedì 10 giugno 2014

Stasera in tv

Alle 21.15 su Rai Movie sarà trasmesso "Caos Calmo", film del 2008 diretto da Antonello Grimaldi e interpretato da Nanni Moretti, tratto dall'omonimo romanzo di Sandro Veronesi.





Saul Bellow (Lachine, 10 giugno 1915 – Brookline, 5 aprile 2005)

"In un'epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia". 
Saul Bellow 

(Saul Bellow fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1976 con la motivazione "Per la comprensione umana e la sottile analisi della cultura contemporanea che sono combinate nel suo lavoro")