Giorgio Caproni nacque a Livorno nel 1912. Vissuto tra
Livorno, Genova e Roma, abbinò la professione di insegnante elementare
all'attività poetica. Le sue prime raccolte (Come un'allegria, Ballo a
Fontanigorda, Finzioni, Stanze della funicolare), poi confluite ne " Il
passaggio di Enea" (1956), si distinguono per la presenza del sonetto,
della canzonetta rimata e per un lessico talora indugiante a certo preziosismo.
La figura di Enea si pone come la metafora del viaggio, della ricerca di
un'autenticità perduta e di un "oltre" trascendente; è il punto
simbolico di convergenza di un'esigenza esistenziale, ma anche il referente
della difficile ricostruzione dopo le rovine della guerra.
Nella raccolta successiva, "Il seme del piangere"
(1959), il tema centrale si ha nel recupero incantato della figura della madre,
immaginata come sarebbe stata da giovane e immortalata in quadretti idillici.
Essa diventa una giovinetta che - puntualizza lo stesso Caproni - "
assume il volto che è stato capace di darle la leggenda che io mi ero formato
di lei, udendo i discorsi in casa e guardando le fotografie". Il titolo
"Il seme del piangere" rimanda al Purgatorio dantesco ( XXXI, 45-
46): "udendo le sirene sie più forte/ pon giù il seme del piangere ed
ascolta". Caproni interpreta il momento in cui chiede a se stesso la forza
di superare il dolore per la morte della madre e di ascoltare le voci interiori
che possano innalzarla nel canto poetico.
Un notevole passo in avanti si ha ne "Il muro della
terra(1975), una raccolta costituita da un'intensa versificazione epigrammatica
che si salda con tematiche molto profonde, come quelle del viaggio e della
ricerca di un'identità. Questi toni brevi e sentenziosi si protrarranno nelle
successive raccolte "Il franco cacciatore" (1982) e "Il conte di
Kevenhüller" (1986), ove, al di là di ogni forma di acredine e
di sarcasmo, il poeta svolge il tema dell'assenza e dell'impossibiltà per
l'uomo di un approdo solido nell'effimero della vita, smarrito in un universo
ottenebrato dall'assenza di Dio.Notevoli le sue traduzioni di poeti stranieri,
soprattutto dal francese, da Baudelaire a Proust, ad Apollinaire, a Celine. La
poesia di Caproni si inserisce nei metri e nelle rime della tradizione,
recuperando certi moduli stilistici sabiani e superando in parte l'Ermetismo
degli anni Trenta. Il l inguaggio poetico resta estraneo all'eccessiva
colloquialità crepuscolare come all'oscurità degli ermetici e si distingue -
puntualizza lo stesso Caproni in un'intervista (1965)- per "la chiarezza,
l'incisività, la franchezza, il sempre crescente orrore per i giochi puramente
sintattico o concettuali". Ciò tuttavia non impedisce la presenza di una
disciplina formale e di una intrinseca musicalità, dovute al sapiente recupero
della metrica tradizionale e alla capacità di conferire al sonetto alti livelli
tecnici. Frequente l'impiego degli enjambements, che arricchiscono e
movimentano il tessuto ritmico. Non mancano momenti di tensioni analogiche ed
evocative.