venerdì 13 giugno 2014

"Alla primavera, o delle favole antiche" , Giacomo Leopardi

Perchè i celesti danni 
ristori il sole, e perchè l'aure inferme 
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta 
Delle nubi la grave ombra s'avvalla; 
Credano il petto inerme 
Gli augelli al vento, e la diurna luce 
Novo d'amor desio, nova speranza 
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte 
Pruine induca alle commosse belve; 
Forse alle stanche e nel dolor sepolte 
Umane menti riede 
La bella età, cui la sciagura e l'atra 
Face del ver consunse 
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti 
Di febo i raggi al misero non sono 
In sempiterno? ed anco, 
Primavera odorata, inspiri e tenti 
Questo gelido cor, questo ch'amara 
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara? 

Vivi tu, vivi, o santa 
Natura? vivi e il dissueto orecchio 
Della materna voce il suono accoglie? 
Già di candide ninfe i rivi albergo, 
Placido albergo e specchio 
Furo i liquidi fonti. Arcane danze 
D'immortal piede i ruinosi gioghi 
Scossero e l'ardue selve (oggi romito 
Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre 
Meridiane incerte ed al fiorito 
Margo adducea de' fiumi 
Le sitibonde agnelle, arguto carme 
Sonar d'agresti Pani 
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda 
Vide, e stupì, che non palese al guardo 
La faretrata Diva 
Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda 
Polve tergea della sanguigna caccia 
Il niveo lato e le verginee braccia. 

Vissero i fiori e l'erbe, 
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli 
Aure, le nubi e la titania lampa 
Fur dell'umana gente, allor che ignuda 
Te per le piagge e i colli, 
Ciprigna luce, alla deserta notte 
Con gli occhi intenti il viator seguendo, 
Te compagna alla via, te de' mortali 
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri 
Cittadini consorzi e le fatali 
Ire fuggendo e l'onte, 
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime 
Selve remoto accolse, 
Viva fiamma agitar l'esangui vene, 
Spirar le foglie, e palpitar segreta 
Nel doloroso amplesso 
Dafne o la mesta Filli, o di Climene 
Pianger credè la sconsolata prole 
Quel che sommerse in Eridano il sole. 

Nè dell'umano affanno, 
Rigide balze, i luttuosi accenti 
Voi negletti ferìr mentre le vostre 
Paurose latebre Eco solinga, 
Non vano error de' venti, 
Ma di ninfa abitò misero spirto, 
Cui grave amor, cui duro fato escluse 
Delle tenere membra. Ella per grotte, 
Per nudi scogli e desolati alberghi, 
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte 
Nostre querele al curvo 
Etra insegnava. E te d'umani eventi 
Disse la fama esperto, 
Musico augel che tra chiomato bosco 
Or vieni il rinascente anno cantando, 
E lamentar nell'alto 
Ozio de' campi, all'aer muto e fosco, 
Antichi danni e scellerato scorno, 
E d'ira e di pietà pallido il giorno. 

Ma non cognato al nostro 
Il gener tuo; quelle tue varie note 
Dolor non forma, e te di colpa ignudo, 
Men caro assai la bruna valle asconde. 
Ahi ahi, poscia che vote 
Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono 
Per l'atre nubi e le montagne errando, 
Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro 
In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano 
Il suol nativo, e di sua prole ignaro 
Le meste anime educa; 
Tu le cure infelici e i fati indegni 
Tu de' mortali ascolta, 
Vaga natura, e la favilla antica 
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, 
E se de' nostri affanni 
Cosa veruna in ciel, se nell'aprica 
Terra s'alberga o nell'equoreo seno, 
Pietosa no, ma spettatrice almeno.

Fernando Pessoa

Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura,
una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.
 - Fernando Pessoa

Fernando Pessoa

Ho mal di testa e di universo.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine

Il libro dell'inquietudine

Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo.” 
- Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Fernando Pessoa

“Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi.”
— Fernando Pessoa

Erri De Luca

" Ora nella fotografia che ci ferma io potrei scendere a questa fermata. Ti verrei incontro attraversando la strada. Potremmo ancora avere un seguito. Verrei a darti il braccio. Cosa faremmo? Noi capiremmo. Sottobraccio capiremmo tutta la nostra vita. La vedremmo nelle separazioni che non ci hanno indebolito l'affetto, nei ritorni che non ce l'hanno rinsaldato." 
(Erri De Luca, "Non ora, non qui")

Fernando Pessoa

Non so se è amore che possiedi o amore che simuli
quello che mi dai.
Dammelo. Questo mi basta.
Se non lo sono più per età,
che io sia giovane per sbaglio.
Poco gli déi ci danno, e quel poco è illusorio.
E tuttavia, quando ce lo danno, pur illusorio,
come dono è autentico.
Lo accolgo, chiudendo gli occhi: mi basta.
Ma che pretendo di più?
(Fernando Pessoa)