mercoledì 1 marzo 2023

Senza andare a capo

 《La nascita di un figlio, un lutto, un viaggio importante, il divorzio, cambiare casa, cambiare auto, persino perché no? cambiare acconciatura. Sono i fatti della vita, grandi e piccoli, e in loro occasione diciamo spesso “sono cambiato, non sono più lo stesso, ho ricominciato daccapo.”

Parole simili suppongono una svolta, una rinascita, un miracolo, una radicale metamorfosi ma davvero funzioniamo così, come un interruttore o l’uscita da uno svincolo? I fatti della vita possono davvero farci diventare qualcun altro? Non si limitano piuttosto a farci diventare sempre di più noi stessi?

I medesimi fatti interpellano tutti ma tutti rispondiamo in un modo diverso. Siamo un fiume carsico e unico che a volte sparisce ma poi riemerge e non può che sfociare infine nel golfo della conoscenza di sé. Senza mai andare a capo di nulla, incontrando e assimilando milioni di respiri, di persone e di animali, di gesti e paesaggi, fatti parole ed omissioni, alla fine ciò che rimarrà di quei milioni di pulviscoli, sei tu.

Dante la chiamerebbe commedia in quanto ha un lieto fine, per lo più, ciascuno il suo. L’importante è uscire dal limbo di un corpo bruto e inconsapevole.

Queste poesie sono il diario della mia commedia》.

 - Enrico Sartorelli



martedì 28 febbraio 2023

Winston Churchill

 《Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti》.

(Winston Churchill)



giovedì 9 febbraio 2023

Boris Pasternak

 "E' bene quando una persona contraddice le nostre aspettative, quando è diversa dall'immagine che ce ne siamo fatta. Appartenere a un tipo significa la fine dell'uomo, la sua condanna. Se non si sa, invece, come catalogarlo, se sfugge a una definizione, è già in gran parte un uomo vivo, libero da se stesso, con  un granello in sé di assoluto".

- Boris Pasternak



Giorno del Ricordo

 《Perché quello che mi interessa è solo che la mia storia possa arrivare a molti e che non venga dimenticata. Per troppo tempo la questione del confine orientale e' stata ignorata ed e' ora che i ragazzi conoscano anche le nostre storie. Non c'è mai stata chiarezza sulla questione del confine, non si sa ancora nemmeno quanti siano stati i morti. Morti che, ripeto, sono tutti uguali. Si è detto che gli italiani delle terre giuliane erano tutti fascisti. Ma no, assolutamente. Mio padre non lo era. Eppure è finito in quel modo. Voglio solo che la mia storia sia a disposizione come quella di altri esuli per far capire cosa accadde. La mia famiglia ce l'ha fatta grazie ad una forte determinazione. Quella determinazione tipica della nostra personalità, del nostro essere. È vero, alla fine della guerra tutta l'Italia versava in condizioni disastrose, ci guardavano male, ci trattavano da profughi. Molti di noi erano nei campi profughi e non stavano certo bene. Ma tutto va contestualizzato al periodo difficile che l'Italia viveva e che noi avevamo vissuto nelle terre giuliane. Solo che di noi non si parlava, non si voleva parlare. Non c'è dubbio che la situazione fosse drammatica per tutti ma la nostra storia è stata troppo a lungo taciuta. Abbiamo pagato errori storici》.


- La signora Egea Haffner, figlia di una vittima delle stragi delle foibe.


È lei,  la bambina con la valigia  ritratta nella foto divenuta simbolo dell'esodo giuliano-dalmata che si verificò a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e nel decennio successivo.



Giuseppe Ungaretti

 Giuseppe Ungaretti, "Finale" ( v. 3)



Bertolt Brecht

 "E - vi preghiamo- quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto : "è naturale" in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile".


Bertolt Brecht , "L' eccezione e la regola"



giovedì 26 gennaio 2023

Viola Ardone

 《Tra noi docenti per dire che uno ci sa fare con i ragazzi usiamo quest'espressione: ‘Sa tenere la classe’. Chi sa tenere la classe è come un capitano scaltro che conosce i venti e regola le vele per portare ogni giorno di ogni quadrimestre di ogni anno la nave in porto, possibilmente con tutti i passeggeri a bordo.

Il fatto è che però governare la nave diventa sempre più difficile di anno in anno. Forse perché quella barca si sta facendo un po' troppo affollata: non ci siamo solo noi e loro a condividere lo spazio e il tempo della lezione, ma anche altre presenze immateriali ma non per questo meno invadenti. Ci sono i genitori, ad esempio, che qualche volta si ergono a difensori strenui dei loro figli anche quando sono indifendibili. E poi i telefonini, che come moderne Sirene di Ulisse minano continuamente l'attenzione, confondono la rotta e rendono incerta la navigazione. E infine c'è una certa idea dell'insegnante che è quel povero diavolo pagato pochi spiccioli e che in cambio si gode tre mesi di vacanza e fa un lavoro che in fondo sapremmo fare tutti. Poco più di un bersaglio da tirassegno, messo nel baraccone che è la scuola a destreggiarsi tra le mille emergenze quotidiane per l'intrattenimento dei ragazzi.


E credo che, tra tutti, sia questo il colpo più doloroso. Quello di una professione sempre più misconosciuta, sempre più bersagliata, e non solamente dagli alunni》.


- Viola Ardone