domenica 26 giugno 2022

Don Lorenzo Milani

 I montanari 


Barbiana, quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Nè cattedra, nè lavagna, nè banchi. Solo grandi tavoli intorno a cui si faceva scuola e si mangiava. 


D'ogni libro c'era una copia sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po' più grande e insegnava. 


Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch'io.


La vita era dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare. 


Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finchè non aveva capito, gli altri non andavano avanti.


Non c'era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica. 


Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perchè il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che capitava a visitarci faceva una polemica su questo punto. 


Un professorone disse: «Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport è per il ragazzo una necessità fisiopsico...». 


Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all'Università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabelline. 


Finalmente andò via e Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: «La scuola sarà sempre meglio della merda».


Don Lorenzo Milani,  Lettera a una professoressa



Don Lorenzo Milani

 Cara signora,

lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.

Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell'istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».

Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.


Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva.

Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto.

Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla.

Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sè. Gli operai poi non se ne parla.

Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento.

Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è nè viltà nè eroismo. È solo mancanza di prepotenza.

 Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa


sabato 25 giugno 2022

L' ultima intervista a Pier Paolo Pasolini

 Furio Colombo: Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire) poco.

 Pier Paolo Pasolini  Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di li, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori.  Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora» (mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal «potere»?


“Siamo tutti in pericolo”. L’ultima intervista

di Furio  Colombo a Pier Paolo Pasolini 

1 novembre 1975



venerdì 24 giugno 2022

George Orwell

 "Le persone non si rivolteranno. Non alzeranno gli occhi dai loro schermi, non abbastanza per notare cosa sta accadendo.”


(George Orwell “1984")



Sartre

 “Ho voglia d’andarmene, d’andarmene in qualche posto dove sia veramente al mio posto, dove m’ingrani… Ma il mio posto non è in nessun luogo: io sono di troppo.”

La nausea, J.P. Sartre



Sartre

 Alle tre  del pomeriggio è sempre troppo presto o troppo tardi per qualsiasi cosa tu voglia fare.

Jean Paul Sartre, La nausea



Storie d' amore

 “La trovo bella, l'ho sempre trovata bella, perfino se aveva in testa un bruttissimo cappellino, come quando l'ho conosciuta. Volevo assolutamente conoscerla perché era bella. […] Quello che è meraviglioso in Simon de Beauvoir è che ha l'intelligenza di un uomo (e vedete, nel senso in cui parlo qui, sono un po’ schiavista) e la sensibilità d'una donna. Cioè ho trovato in lei tutto quanto io potessi desiderare […] Eravamo l'un per l'altro degli uguali, non potevamo concepire altro.

Avevo trovato una donna uguale a ciò che ero io come uomo”


Simon de Beauvoir vista da Jean-Paul Sartre