sabato 6 marzo 2021

Gabriel Garcìa Marquez

 Fece allora un ultimo sforzo per cercare nel suo cuore il luogo dove gli si erano putrefatti gli affetti, e non potè trovarlo.

Gabriel Garcìa Marquez, Cent'anni di solitudine



giovedì 4 marzo 2021

Pier Paolo Pasolini

 Solitudine

di Pier Paolo Pasolini


Bisogna essere molto forti

per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe

e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare

raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere

rapinatori o assassini; se tocca camminare

per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera

bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;

specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,

e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;

non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,

oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte

senza doveri o limiti di qualsiasi genere.

Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri

- e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,

tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,

essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;

più caldo e vivo è il corpo gentile

che unge di seme e se ne va,

più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;

è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,

non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza

di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza

enormemente giovane; e in questo è disumano,

perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia

che è sempre la stessa in tutte le stagioni.

Un ragazzo ai suoi primi amori

altro non è che la fecondità del mondo.

È il mondo così arriva con lui; appare e scompare,

come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,

e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;

l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque

la solitudine è ancora più grande se una folla intera

attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –

l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente

come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.

Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,

specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,

e per te non è mutato niente: allora per un soffio

 non urli o piangi;

e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,

e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire

che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto

e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine

è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?

Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,

che valga una camminata senza fine per le strade povere

dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.


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Pier Paolo Pasolini

 Il problema è avere gli occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perchè non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.

Pier Paolo Pasolini



mercoledì 3 marzo 2021

Giorgio Bassani

 La verità è che a furia di far collezioni, di cose, di piante, di tutto, si finisce a poco a poco col voler farle anche con le persone.

- Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi - Contini



domenica 28 febbraio 2021

Niccolò Ammaniti

 “L’ansia è una brutta cosa. 

L’ansia ti butta a terra, ti svuota e ti inquieta, sembra che una pompa invisibile ti stia aspirando l’aria che cerchi disperatamente di ingoiare. La parola “ansia” deriva dal verbo latino angere, “stringere”, ed è proprio questo che fa: ti strizza le budella e ti paralizza il diaframma, è un massaggio sgradevole al basso ventre e spesso si accompagna a brutti presentimenti.”

— 

Niccolò Ammaniti - Ti prendo e ti porto via

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venerdì 26 febbraio 2021

Victor Hugo

 "Faccio tutto ciò che posso perchè il mio amore non ti disturbi, ti guardo di nascosto, ti sorrido quando non mi vedi. Poso il mio sguardo e la mia anima ovunque vorrei posare i miei baci: sui tuoi capelli, sulla tua fronte, sui tuoi occhi, sulle tue labbra, ovunque le carezze abbiano libero accesso."

- Victor Hugo a Juliette Drouet

mercoledì 24 febbraio 2021

Dall'intervista di Oriana Fallaci a Sandro Pertini

 ORIANA FALLACI. Non a caso c’è quella sua frase: «Se mi volto a guardare la strada che ho percorso, posso dire di aver speso bene la mia vita».

SANDRO PERTINI. Sì. E posso dirlo in coscienza, Oriana. Io ho fatto una scelta da giovane e, se per un prodigio tornassi indietro, rifarei la stessa scelta. Perché era una scelta giusta. Vede, io di solito non vado ai ricevimenti. Preferisco stare con mia moglie, la sera, o leggermi un libro o recarmi a teatro. Ma a volte capita che debba andare ai ricevimenti e allora vedo quei professionisti ricchi e provo una tale pena per loro. Hanno conquistato il denaro, sì. Hanno conquistato il successo e il potere. Eppure sono frustrati perché si sono accorti di aver avuto una vita vuota. Non vorrei essere al posto loro quando viene l’ora dei lupi. Ingmar Bergman la chiama l’ora dei lupi, cioè l’ora antelucana, l’ora in cui ci troviamo soli anche se accanto c’è la compagna della nostra vita, e non possiamo mentire a noi stessi. La mia ora dei lupi è alle cinque del mattino, quando mi sveglio magari per riaddormentarmi, e nella penombra analizzo ciò che ho fatto il giorno prima.  Ne esce un esame di coscienza che si allunga nel tempo, nel passato, e deve credermi, Oriana: non ci trovo errori. Oh, non che possa negare d’aver commesso errori. Chi cammina talvolta cade. Solo chi sta seduto non cade mai. Però i miei errori sono frange che invariabilmente nascono dal mio caratteraccio. Non sono errori sostanziali. Il mio caratteraccio... Sono sempre stato un passionale, un impetuoso. Anche da giovane e prima di finire in carcere, sa? Non posso darne la colpa al carcere, alle sofferenze, e anzi ora son migliorato. Questa mia carica, se non altro, ha servito a imbrigliare un poco le mie impazienze. 

( Da "L' Europeo", 27 dicembre 1973)