venerdì 24 aprile 2015

Pietro Benedetti

11 aprile 1944
Ai miei cari figli,
quando voi potrete forse leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più fra i vivi.
Questa mattina alle 7 mentre mi trovavo ancora a letto sentii chiamare il mio nome. Mi alzai subito. Una guardia aprì la porta della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso sotto. Discesi, trovai un poliziotto che mi attendeva, mi prese su di una macchina e mi accompagnò al Tribunale di Guerra di Via Lucullo n. 16. Conoscevo già quella triste casa per aver avuto un altro processo il 29 febbraio scorso quando fui condannato a 15 anni di prigione. Ma questa condanna non soddisfece abbastanza il comando tedesco il quale mandò l'ordine di rifare il processo. Così il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe luogo in dieci minuti e finì con la mia condanna alla fucilazione.
Il giorno stesso ho fatto la domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo straniero oppressore. Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo momento d'addio alla vostra povera mamma e a voi, miei cari disgraziati figli.
Amatevi l'un l'altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell'amore per l'umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli.
Siate umili e disdegnate l'orgoglio; questa fu la religione che seguii nella vita.
Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare serenamente la morte.
— 
Pietro Benedetti, da Lettere di condannati a morte della resistenza italiana 

mercoledì 22 aprile 2015

Serena Dandini

“Di cosa è fatta una vita?
Di domeniche pigre in cui non rispondiamo al telefono per rimanere sul divano abbracciando un libro appena iniziato. Di ore spese inutilmente a cercare le sigarette, le chiavi della macchina, gli occhiali da sole, perché si sa che spesso e volentieri le cose si spostano per farci dispetto e divertirsi alle nostre spalle. Di pomeriggi adolescenziali passati a guardare le gocce di pioggia che rimbalzano sul vetro, sognando di sposare Mick Jagger. Di quei bomboloni sganciati da un razzo su un letto di zucchero che papà ti portava a mangiare per insegnarti i piaceri della vita. Di mattine in cui scopri allo specchio che in una notte hai preso cinque anni e non ti resta che tifare per un po’ d’indulgenza, in un Paese in cui dimostrare la propria età è più grave che fare una rapina a mano armata. Di salti della quaglia da uno schieramento a un altro nella più autentica suddivisione tra esseri umani: quella tra coppie e single. Di momenti in cui basta un calzino con l’elastico moscio per far emergere tutte le nostre insicurezze. Di quel preciso giorno in cui si spezza il tempo alla fine dell’estate. E di tutto quello che non ricordiamo più ma ogni tanto affiora dalle misteriose stanze della nostra memoria difettosa.”
— Grazie per quella volta.Confessioni di una donna difettosa-Serena Dandini



Vinicius De Moraes

La musica dolente di un valzer;dentro me, profondamente nel mio essere,la musica dolente del tuo corpo;e in tutto, vivendo l'istante di tutte le cose,la musica della notte rischiarata.Il ritmo del tuo corpo nel mio corpo...Il dolce giro di valzer lontano, titubante...i miei occhi che bevono i tuoi occhi, il tuo viso.E il desiderio di piangere che giunge da tutte le cose.

Vinicius De Moraes



martedì 21 aprile 2015

Gino Strada

In zone di guerra, non può valere il principio “prima il più grave”. Non ti puoi permettere di spendere tre ore a operare qualcuno con poche probabilità di sopravvivere. Consumi inutilmente energie e materiali, e, soprattutto, altre persone moriranno nel frattempo, mentre si sarebbero salvate se operate prima.
E allora devi cercare di fare “il meglio per la maggioranza” di quei feriti. Ce le ripetiamo spesso queste cose, per convincere noi stessi, ogni volta, che è la migliore delle soluzioni possibili. Ma non è facile, non lo è mai.
Spesso arrivano i dubbi, o i rimorsi, o un senso di impotenza. E spesso è difficile reggere il ruolo di chi è costretto a scegliere.
— Gino Strada - Pappagalli verdi

Gino Strada

“Promettere costa poco, si dice, se poi non si mantiene l'impegno. E non farlo? Costa ancor meno, praticamente niente, basta girarsi dall'altra parte. Una promessa è un impegno, è il mettersi ancora in corsa, è il non sedersi su quel che si è fatto. Dà nuove responsabilità, obbliga a cercare, a trovare nuove energie. ”
-Gino Strada

lunedì 20 aprile 2015

Gino Strada

Un cecchino di Sarajevo si lascia intervistare in una stanza quasi buia. Mi sembra incredibile: è una donna. Una donna che spara a un bambino di sei anni? Perché? “Tra vent'anni ne avrebbe avuti ventisei”, è la risposta che l'interprete traduce. Il freddo diventa più intenso, fa freddo dentro. L'intervista finisce lì, non c'è altra domanda possibile.
— Gino Strada, Pappagalli verdi

Gino Strada

“Io mi ostino a voler fare il mio lavoro, medico e chirurgo. Mi occupo giornalmente di sanità e medicina. Se qualcuno venisse a propormi di fare il ministro della Sanità risponderei che il mio programma è molto semplice: faccio una sanità d’eccellenza, spendendo la metà di quello che si spende oggi, eliminando il conflitto di interesse introdotto nella mia professione dalla casta politica: il pagamento a prestazione. Il nostro sistema sanitario era uno dei migliori al mondo, la casta, con la complicità dei medici, lo ha rovinato. L’interesse del medico è che la gente stia male, per fare più prestazioni. Ma nove milioni di persone non hanno più accesso alla sanità. Io eliminerei tutto questo. Ecco perché nessuno mi ha mai chiesto di fare il ministro della Sanità. A me piacerebbe in futuro aprire anche in Italia il primo ospedale di Emergency, per far rivedere agli italiani, dopo 30 anni, che cos’è un ospedale, non una fottuta azienda. La sanità è uno scandalo pubblico”.
— Gino Strada