lunedì 5 maggio 2014

"Horcynus Orca" di Fortunato Stefano D'Arrigo (Alì Terme, 15 ottobre 1919 – Roma, 2 maggio 1992)

Sotto quelli poi, come risucchiato in una conchiglia e messo a musica tenebrosa all'orecchio, sentì nuovamente il frusciare rigonfio delle fere che s'inarcavano e si affusolavano, s'infilavano e si sfilavano d'onda in onda col loro nuotare di seta, il loro mareggiare di sonnambule in crociera con la barca nera e pizzuta, con la campanella attaccata a prora, o alle trecce di Ciccina Circé, che se le portava dietro per lo scill'e cariddi, e se le portava a piacere o meglio, a capriccio suo, se le portava a modo o smodo suo, se le portava là, da sponda a sponda, perché là, da là a qua, le faceva comodo portarsele, ma avrebbe potuto portarsele sino in capo al mondo, legate per la vita e per la morte, come a un filo di capello, a un dindin da niente.
Stefano D'Arrigo , Horcynus Orca

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Il Cinque Maggio

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.

Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.

Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.

Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;

tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;

e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

Alessandro Manzoni, Il Cinque Maggio


Incipit de "Il Capitale" di Karl Marx

La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una «immensa raccolta di merci» e la singola merce appare come sua forma elementare. Quindi iniziamo la nostra indagine con l'analisi della merce.
La merce è prima di tutto un oggetto esterno, una cosa che per mezzo delle sue proprietà soddisfa bisogni umani di qualunque specie. La natura di tali bisogni, p. es. che derivino dallo stomaco o dalla fantasia, non fa alcuna differenza. Qui non si tratta neanche di come la cosa soddisfi il bisogno umano, se immediatamente, come mezzo di sussistenza, cioè come oggetto di piacere, oppure indirettamente, come mezzo di produzione.


Karl Heinrich Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883)


L'esperienza definisce felicissimo l'uomo che ha reso felice il maggior numero di uomini... Se abbiamo scelto nella vita una posizione in cui possiamo operare per l'Umanità, nessun peso ci può piegare, perchè i sacrifici vanno a beneficio di tutti; allora non proveremo una gioia meschina, limitata, egoista, ma la nostra Felicità apparterrà a milioni di persone, le nostre azioni vivranno silenziosamente, ma per sempre. 
Karl Heinrich Marx 







Esistere significa poter scegliere

Paradossale è la condizione umana. Esistere significa “poter scegliere”; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensí la miseria dell’uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all’alternativa di una “possibilità che sí” e di una “possibilità che no” senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell’altro. 

Sören Kierkegaard, Aut- Aut

Non perdere la voglia di camminare

“Soprattutto, non perdere la voglia di camminare: io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata […] perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene.”
Søren Kierkegaard