lunedì 27 gennaio 2014

Era così bello....

"Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre, però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro".
- Luigi Tenco




Un desiderio vago di cose ignote...

Le cadeva addosso una malinconia dolce, come una carezza lieve, che le stringeva il cuore a volte, un desiderio vago di cose ignote.

Giovanni Verga, Mastro Don Gesualdo

                                                Ritratto di Giovanni Verga



"La Voce", rivista fondata da Giuseppe Prezzolini

Il periodico "La Voce", fondato da Giuseppe Prezzolini, appare a Firenze nel dicembre 1908. Nel gruppo redazionale, oltre a Prezzolini, si ritrovano fra gli altri Giovanni Papini e Ardengo Soffici, il modernista Romolo Murri, lo scrittore Scipio Slataper e i liberaldemocratici Giovanni Amendola e Gaetano Salvemini. Tra i collaboratori, vi sono tantissimi personaggi di notevole spessore intellettuale, accomunati tutti dall'insoddisfazione verso l'Italia giolittiana e da una confusa ansia di novità.
Nell'editoriale di presentazione della rivista, scritto da Prezzolini,  si afferma l'intento di essere onesti e sinceri.
Questa sincerità, collocata fin da subito al centro del programma della "Voce", si tradurrà, in gran parte degli scrittori "vociani", in una sostanziale propensione all'autobiografismo; mentre l'onestà, di cui parla Prezzolini, imprimerà alle confessioni dei vociani un'inconfondibile cifra di lucida e radicale moralità.
"La Voce" esprime una forte esigenza di rinnovamento della cultura italiana entro una dimensione europea, nella prospettiva di un più ampio progetto di politica culturale globale.
Centrale fin da subito è l'impegno filosofico della rivista, che si mostra aperta ad una molteplicità di tendenze di pensiero, da Marx a Sorel, dal pragmatismo americano all'idealismo crociano.
Accanto a questioni teoriche, vengono discussi anche problemi più drammatici della realtà italiana del tempo: assai ampio, ad esempio, èlo spazio riservato alla questione meridionale. Nel 1914 "La voce" si scinde in due riviste distinte: da un lato "La Voce letteraria" sotto la direzione di Giuseppe De RObertis; dall'altro "La Voce politica", periodico di propaganda interventista, antigiolittiana e antisocialista, diretto da Prezzolini, che chiuderà le pubblicazioni solo dopo un anno.
"La Voce Letteraria" di De Robertis assume invece un profilo di disimpegno politico, dichiarandosi a favore dell'arte per l'arte, ossia del valore puro dell'espressione poetica. De Robertis, in particolare, sostiene il frammentismo lirico, cioè un'espressione poetica essenziale, in polemica con l'uso sovrabbondante della parola tipico dei dannunziani e dei futuristi.

                                       Giuseppe Prezzolini

Dal Diario di Anne Frank

"Ecco che cos’è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. È molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all’intima bontà dell’uomo.Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare!”
Anne Frank, Diario- Einaudi

domenica 26 gennaio 2014

Prefazione di Primo Levi al suo romanzo- testimonianza "Se questo è un uomo"

Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli. 
Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull'inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano. A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo. 
Mi rendo conto e chiedo venia dei difetti strutturali del libro. Se non di fatto, come intenzione e come concezione  esso è nato fin dai giorni di Lager. Il bisogno di raccontare agli "altri", di fare gli "altri" partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore. Di qui il suo carattere frammentario: i capitoli sono stati scritti non in successione logica, ma per ordine di urgenza. Il lavoro di raccordo e di fusione è stato svolto su piano, ed è posteriore.
Primo Levi, Prefazione a "Se questo è un uomo"


La lingua manca di parole per esprimere la demolizione di un uomo

Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest'offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare si che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. 
Primo Levi, "Se questo è un uomo"
                                                   




Considerate se questo è un uomo


Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripeterle ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

-Primo Levi, versi introduttivi del romanzo "Se questo è un uomo", scritto tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947.