martedì 31 dicembre 2013

I Petrali calabresi

I Petrali sono dei dolci natalizi tipici di Reggio Calabria.
Sono dei dolci di pastafrolla ripieni a forma di mezzaluna, con all'interno un ripieno ottenuto facendo macerare per molti giorni nel vino cotto e nel caffè zuccherato un tritato di fichi secchi, noci, mandorle, buccia di arancia e di mandarino.
L'esterno è di solito guarnito con una spennellata di rosso d'uovo sbattuto e diavoletti colorati (piccole palline di zucchero colorate); alternativamente possono essere guarniti con glassa di zucchero, con cioccolato fondente o cioccolato bianco.


Le mostre imperdibili del 2014


LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA
Il mito della Golden Age
Da Vermeer a Rembrandt
Capolavori dl Mauritshuis

Bologna, Palazzo Fava
8 febbraio - 25 maggio 2014


 APERTURA DELLE PRENOTAZIONI 11 NOVEMBRE 2013 
(call center +39 0422 429999)
     
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Giovanni Agostino Placido Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912)

Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte.
Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, imagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell'aurora, sotto le porpore iridescenti dell'occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l'oblio. Tale potenza nascosta donde s'irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l'orma nel cielo, come l'eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia. (Giovanni Pascoli – "Un poeta di lingua morta" del 1898, contenuta nella raccolta "Pensieri e discorsi" del 1914)

La pittura di Matisse

“La mia pittura, che era partita da una certa opulenza, si era sviluppata verso la chiarezza e la semplicità. Era manifesta la volontà di fare uso dell’astrazione dei colori e delle forme ricche, calde e voluminose, sulle quali tendeva a predominare l’arabesco. Le odalische erano i numerosi frutti di una felice nostalgia, di un sogno bello e vivo, e di un’esperienza vissuta quasi nell’estasi del giorno e della notte, nel fascino di un clima”.
(Henri Matisse)

Henri Émile Benoît Matisse (Le Cateau-Cambrésis , 31 dicembre 1869 – Nizza , 3 novembre 1954)

Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, questa generosità assoluta e questo profondo spogliamento che implica la genesi di ogni opera d'arte. Ma l'amore non è forse all'origine di tutta la creazione?.
[Henri Matisse,"Occorre guardare tutta la vita con gli occhi di un bambino", in "Tracce", febbraio 2011 ]

lunedì 30 dicembre 2013

La sacerdotessa del rock

“I miei peccati, me stessa, appartengono a me".

Patti Smith


Philip Roth, "Pastorale americana"

“Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d’acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.”
— Philip Roth, Pastorale americana