Orbene, l’unica assenza è quella dell’altro: è l’altro (l’oggetto amato) che parte, sono io (l’innamorato) che resto. L’altro è in uno stato di perpetua partenza, sempre sul punto di mettersi in viaggio; egli è, per vocazione, migratore, errante; io che amo sono invece, per vocazione inversa, sedentario, immobile, a disposizione, in attesa, sempre nello stesso posto, in giacenza, come un pacco in un angolo sperduto d’una stazione. L’assenza amorosa è possibile in un solo senso e non può essere espressa che da chi resta - e non da chi parte: io, sempre presente, non si costituisce che di fronte a te, continuamente assente. […]
Sono innamorato? - sì, poiché sto aspettando.
L’altro, invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell’innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta.
(R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso)