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martedì 22 dicembre 2015

Albert Camus

Il vero amore è eccezionale, due o tre volte in un secolo all'incirca. Per il resto, vanità o noia.
- Albert Camus

sabato 14 novembre 2015

Camus

Ho sentito tanti ragionamenti da farmi girar la testa, e che hanno fatto giare abbastanza altre teste da farle consentire all’assassinio, che ho capito come tutte le disgrazie degli uomini derivino dal non tenere un linguaggio chiaro.
La peste, Camus


domenica 6 settembre 2015

Albert Camus

"Sui pendii mezzo sabbiosi e coperti d’eliotropi […] saziavo le due seti che non si possono ingannare per molto tempo senza che l’essere inaridisca: amare, cioè, e ammirare. Perché non essere amati è solo sfortuna: non amare è sventura. Oggi moriamo tutti di questa sventura. Il sangue, gli odi scarniscono il cuore; […] a Tipasa riscoprivo che bisogna conservare in sé intatte una freschezza, una sorgente di gioia, amare la luce che si sottrae all’ingiustizia, e con questa luce conquistata tornare a lottare. […] Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate."

Albert Camus, Ritorno a Tipasa, L’estate

domenica 20 luglio 2014

Albert Camus


“Credi a me, non ci sono grandi dolori, grandi pentimenti, grandi ricordi. Si dimentica tutto, anche i grandi amori. È questo il triste e l’esaltante della vita. C’è solo un certo modo di vedere le cose e di tanto in tanto viene fuori. È per questo che è bello in ogni caso aver avuto un grande amore, una passione sfortunata nella propria vita. Sarà almeno un alibi per le disperazioni senza motivo che ci affliggono.”
— La morte felice, Albert Camus

domenica 19 gennaio 2014

Il primo uomo, regia Gianni Amelio

"Si accetta troppo facilmente che solo il sangue possa muovere la storia, ma il dovere di uno scrittore non è quello di mettersi al servizio di quelli che fanno la storia, ma di aiutare quelli che la subiscono."
Il primo uomo (Le premier homme), 2011 diretto da Gianni Amelio, tratto dall’omonimo romanzo (postumo) di Albert Camus.


sabato 4 gennaio 2014

Discorso tenuto da Albert Camus in occasione della consegna del Premio Nobel per la Letteratura nel 1957

Ricevendo il premio di cui la vostra libera Accademia ha voluto onorarmi, la mia grande gratitudine era tanto più profonda quanto più mi misuravo fino a qual punto la ricompensa oltrepassava i miei meriti personali. Ogni uomo, e a maggior ragione ogni artista, desidera ottenere dei riconoscimenti. Anch’io lo desidero, ma non mi è stato possibile apprendere la vostra decisione senza confrontare la sua grande rinomanza con quello che io realmente sono, un uomo quasi giovane, ricco soltanto dei suoi dubbi e di una opera ancora in cantiere, abituato a vivere nella solitudine del lavoro o nel rifugio dell’amicizia, come potrebbe non apprendere con una specie di panico una decisione che lo porta d’un colpo, solo e quasi ridotto a se stesso, al centro di una luce sfolgorante? Con quale animo poteva ricevere quest’onore nell’ora in cui in Europa altri scrittori, fra i più grandi, sono ridotti al silenzio e nel momento stesso in cui la sua terra natale è tormentata da una continua sventura?
Ho conosciuto questo smarrimento e questo turbamento interiore. Per ritrovare la pace insomma ho dovuto rimettermi in regola con una sorte troppo generosa. E poiché non potevo farlo facendo leva sui miei soli meriti ho trovato, come aiuto, ciò che mi ha sostenuto nelle circostanze più difficili durante la mia vita: l’idea che mi son creata della mia arte e della missione dello scrittore. Lasciate che in un sentimento di riconoscenza e di amicizia vi dica, con la massima semplicità, quale sia questa idea.
Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l’ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non si estranea da nessuno e mi permette di vivere come sono al livello di tutti. L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti. L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. È per questa ragione che i veri artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare: e se essi hanno un partito da prendere in questo mondo, non può essere altro che quello di una società in cui, secondo il gran motto di Nietzsche, non regnerà più il giudice, ma il creatore, sia esso lavoratore o intellettuale.
La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono. O, in caso contrario, lo scrittore si ritrova solo e privo della sua arte. Tutti gli eserciti della tirannia con i loro milioni di uomini non lo strapperanno alla solitudine anche e soprattutto se si adatterà a tenere il loro passo. Ma il silenzio di un prigioniero sconosciuto ed umiliato all’altro capo del mondo sarà sufficiente a trarre lo scrittore dal suo esilio, ogni volta, almeno, che arriverà, pur nei privilegi della libertà, a non dimenticare questo silenzio e a divulgarlo con i mezzi dell’arte.
Nessuno di noi è abbastanza grande per una simile vocazione. Ma in tutte le circostanze della sua vita, ignorato o provvisoriamente celebre, imprigionato nella stretta della tirannia o per il momento libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustifichi, alla sola condizione che accetti, finché può, i due impegni che fanno la grandezza della sua missione: essere al servizio della verità e della libertà. Poiché la sua vocazione è quella di riunire il maggior numero possibile di uomini, egli non può valersi della menzogna e della schiavitù che, là dove regnano, fanno proliferare la solitudine. Qualunque siano le nostre debolezze personali, la nobiltà del nostro mestiere avrà sempre le sue radici in due difficili impegni: il rifiuto della menzogna e la resistenza all’oppressione.
Per più di vent’anni di storia folle, perduto e privo di soccorso, come tutti gli uomini della mia età, nelle convulsioni del tempo, sono stato sorretto dal sentimento oscuro che scrivere era oggi un onore, perché questo atto impegnava, e non impegnava a scrivere soltanto. Mi obbligava in particolare a portare, come potevo e secondo le mie forze, con tutti quelli che vivevano la stessa storia, la sventura e la speranza di cui eravamo partecipi. Questi uomini, nati all’inizio della prima guerra mondiale, che hanno avuto vent’anni quando si installavano ad un tempo il potere hitleriano e i primi processi rivoluzionari e che sono stati in seguito messi alla prova, per completare la loro educazione, nella guerra di Spagna, nella seconda guerra mondiale, nell’universo “concentrazionario”, nell’Europa della tortura e della prigione, debbono oggi allevare i loro figli e le loro opere in un mondo minacciato dalla distruzione nucleare. Nessuno, suppongo, può chieder loro di essere ottimisti. E sono convinto che dobbiamo comprendere, pur senza abbandonare la lotta contro di loro, l’errore di quelli che, per troppa disperazione, hanno rivendicato il diritto al disonore e si sono gettati a capofitto nel nichilismo del nostro tempo. Ma è anche vero che la maggior parte di noi, nel mio paese e in Europa, hanno rifiutato questo nichilismo e si sono messi alla ricerca di una legittimità; hanno dovuto costruirsi un’arte per vivere in tempi calamitosi, per nascere una seconda volta e lottare poi a viso scoperto contro l’istinto di morte sempre presente nella nostra storia.
Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga. Erede di una storia corrotta in cui si fondono le rivoluzioni fallite e le tecniche impazzite, la morte degli dei e le ideologie portate al parossismo, in cui mediocri poteri, privi ormai di ogni forza di convincimento, sono in grado oggi di distruggere tutto, in cui l’intelligenza si è prostituita fino a farsi serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare, per se stessa e per gli altri, fondandosi sulle solo negazioni, un po’ di ciò che fa la dignità di vivere e di morire. Davanti ad un mondo minacciato di disintegrazione, sul quale i nostri grandi inquisitori rischiano di stabilire per sempre il dominio della morte, la nostra generazione sa bene che dovrebbe, in una corsa pazza contro il tempo, restaurare fra le nazioni una pace che non sia quella della servitù, riconciliare di nuovo lavoro e cultura e ricreare con tutti gli uomini un’arca di alleanza. Non è certo che essa possa mai portare a buon fine questo compito immenso ma è certo che, in tutto il mondo, è già impegnata nella sua doppia scommessa di verità e di libertà e che, all’occasione, saprà morire senza odio. Per questo merita quindi di essere salutata e incoraggiata dovunque si trovi e soprattutto là dove si sacrifica. È su di essa, comunque, che, certo del vostro assenso profondo, vorrei far ricadere l’onore che mi avete fatto.
Nello stesso tempo, dopo aver proclamato la nobiltà del mestiere di scrivere, avrei ricollocato lo scrittore al suo vero posto, non godendo lui di altri titoli all’infuori di quelli che divide con i suoi compagni di lotta, vulnerabile ma ostinato, ingiusto e appassionato di giustizia, costruttore della sua opera senza vergogna né orgoglio al cospetto di tutti, diviso sempre fra il dolore e la bellezza votato infine a trarre dalla sua duplice esistenza le creazioni che ostinatamente tenta di edificare in mezzo al moto distruttore della storia. Chi, dopo tutto ciò, potrebbe attendere da lui soluzioni bell’e fatte e belle morali? La verità è misteriosa, sfuggente, sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da vivere quanto esaltante. Dobbiamo marciare verso questi due obiettivi, con fatica ma decisi, ben consci dei nostri errori in un così lungo cammino. Quale scrittore dunque oserebbe, in buona coscienza, farsi predicatore di virtù? Quanto a me devo dire una volta di più che non sono niente di tutto questo. non ho mai potuto rinunciare alla luce, alla felicità di esistere, alla vita libera in cui sono cresciuto. Ma benché questa nostalgia spieghi molti dei miei errori e delle mie colpe, essa mi ha aiutato senza dubbio a comprendere meglio il mio mestiere, mi aiuta ancor oggi a tenermi, ciecamente, vicino a tutti quegli uomini silenziosi che non sopportano nel mondo una vita che per loro è fatta soltanto del ricordo o del ritorno di brevi e libere gioie.
Ricondotto così a ciò che realmente sono, ai miei limiti, ai miei doveri, alla mia difficile fede, mi sento più libero di testimoniarvi, per finire, l’importanza e la generosità del premio che mi avete conferito; più libero di dirvi anche che vorrei riceverlo come un omaggio reso a tutti quelli che, combattendo la stessa battaglia, non ne hanno ricevuto alcun privilegio, ma hanno invece conosciuto sventura e persecuzione. Non mi resta altro che ringraziarvi dunque dal profondo del cuore e fare a voi pubblicamente, come testimonianza personale di gratitudine, la stessa vecchia promessa di fedeltà che ogni vero artista, ogni giorno, fa a se stesso, in silenzio.

Albert Camus (Mondovi, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960)

Non rinunciare mai. Hai tante cose dentro di te e la più nobile di tutte, il senso della felicità. Ma non aspettarti la vita da un uomo. Per questo tante donne s’ingannano. Aspettala da te stessa.
Albert Camus, "La morte felice"

venerdì 3 gennaio 2014

"La peste" di Camus

Il gran desiderio d’un cuore inquieto è di possedere interminabilmente la creatura che ama o di poterla immergere, quando sia venuto il tempo dell’assenza, in un sonno senza sogni che non possa aver termine che col giorno del ricongiungimento.
Albert Camus, "La peste"

La cultura secondo Camus

Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro. (Albert Camus, Il mito di Sisifo)