martedì 28 gennaio 2014

L'odore dell'inverno

L'odore dell'inverno, di Anton Cechov

Il tempo dapprincipio fu bello,
calmo. Schiamazzavano i
tordi, e nelle paludi qualcosa di vivo
faceva un brusio, come se 
soffiasse in una bottiglia vuota.
Passò a volo una beccaccia e
nell'aria con allegri rimbombi.
Ma quando nel bosco si fece 
buio e soffiò da oriente un vento
freddo e penetrante, tutto tacque.
Sulle pozzanghere si allungarono 
degli aghetti di ghiaccio.
Il bosco divenne squallido, solitario.
Si sentì l'odore dell'inverno.





A di città, progetto rosarnese di rigenerazione urbana

"A di città" è l’unico progetto  calabrese, realizzato a Rosarno,  in lizza per la seconda edizione del premio cheFARE,  evento promosso dall’ associazione doppiozero in collaborazione con una rete di fondazioni e imprese (da Ahref a Il Sole 24 ore, da Tafter a Fondazione Fitzcarraldo, Enel ) che mira a far emergere progetti innovativi nel settore culturale premiandoli con un contributo di 100.000 euro. 
Il progetto Adi città, nato grazie alla lodevole iniziativa di un gruppo di ragazzi rosarnesi, ha come finalità quella di trasformare la città in un laboratorio in cui realizzare nuovi spazi urbani, stimolare la comunità a crescere partecipando in maniera attiva  alla ricostruzione del proprio territorio attraverso il dialogo  con docenti universitari, architetti e urbanisti, collettivi di design, artisti) per riflettere ed attivarsi ai fini di  donare un nuovo volto alla città. Il cuore pulsante del progetto è costituito dai workshop, i Cantieri Aperti, il progetto di Arte urbana condivisa, laboratori di teatro – danza e di agricoltura solidale, attraverso i quali viene sperimentato anche un diverso modello economico nel territorio.
C’è tempo fino al 13 Marzo per votare il progetto “A di città” sulla piattaforma “Che  Fare?: http// www.che-fare.com/ progetti- approvati/ a – di – citta/


Coloro che vivono d'amore vivono d'eterno..

Dino Buzzati con la moglie Almerina Antoniazzi, di professione modella, sposata quasi in segreto l’8 dicembre 1966 nella chiesa milanese di San Gottardo in Corte: lei aveva 25 anni e lui 60.

«E’ stato un caso. Avevamo 35 anni di differenza, mi ha intenerito perché pensavo fosse gravemente malato. Era il 1962, il Corriere mi mandò a farmi fotografare davanti a una fontana dei giardini pubblici, quelli che oggi sono i Giardini Montanelli. La modella non si era presentata e così chiamarono me. E’ stata una folgorazione: camicia bianca e cravatta, l’ho riconosciuto subito. Dopo il lavoro mi ha invitato a colazione, mi ha chiesto il numero e il permesso di potermi telefonare. Gli ho detto sì. Ma non è nato subito l’amore. La magia credo sia accaduta a Torino, dopo qualche tempo (..) Ero arrivata di nascosto a Torinoalla presentazione di "Un amore". Dino era mezzo disperato. Non guardava nessuno, così sono scappata in albergo senza salutarlo. Mi sono presentata al giornale a Milano il mattino dopo. E’ lì che mi ha confessato di non essere malato, solo innamorato e sconvolto dal rapporto con Laide, il personaggio del libro. Anche se "l’amore è una malattia", diceva sempre. Delusa, gli ho chiesto di non cercarmi più. Fino a quando il mio amico Gianni Santuccio, attore con cui collaboravo, mi ha pregato di telefonargli. Cercavamo una commedia da recitare. L’ho chiamato. Dopo un quarto d’ora me lo sono ritrovato sotto casa, e da lì non mi ha più mollata».(Almerina Antoniazzi su Dino Buzzati)

La solitudine della sofferenza


"Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prendere su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della
vita".
Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari










Azzurra Noemi Barbuto, Ali di burro

"Non so come sia successo. Ma credo che  a un certo punto in me anima e corpo si siano messi l'una contro l'altro. La mia anima voleva prendere il sopravvento, emergere, uscire fuori dallo stomaco e farsi sentire, e l'unico modo che aveva per farlo era quello di distruggere il corpo, consumandolo. Ma il dolore del corpo è il dolore dell'anima e viceversa, perché essi sono come due facce della stessa medaglia, come due lembi di seta cuciti con lo stesso filo l'uno sull'altro. Io avrei voluto che il mio corpo fosse come la mia anima. Allora io sarei stata bellissima, leggera, delicata, pura. Così pura da far sorgere negli altri la paura di contaminarmi con un solo sguardo. Così nessuno mi avrebbe guardata, se non per ammirare quella purezza perfetta e lucente e, guardandomi, si sarebbe sentito e sarebbe stato migliore, cioè più buono. Allora io sarei stata come uno di quegli oggetti delicati che esistono solo per la loro rara bellezza e che ispirano cose belle ed elevate a chi li osserva, quegli oggetti protetti, chiusi nelle vetrine, quelle cose preziose e fragili, di vetro soffiato o di porcellana, che noi guardiamo incantati al di là di un vetro quando siamo piccoli, mentre qualcuno ci dice con tono dolce e fermo :"si guarda ma non si tocca".
Io stessa non volevo appartenere a questo mondo vuoto e disperato, troppo duro e troppo pesante per tutta quella leggerezza che mi sentivo dentro, nello stomaco.
Se il mondo era un macigno, io sarei stata una piuma che soavemente scende giù ballerina e non si posa".
- Azzurra Noemi Barbuto, Ali di burro