venerdì 7 febbraio 2014

L'Utopia di Thomas More




I principi di questa repubblica han di mira anzitutto l’ideale di richiamar tutti i cittadini, quanto più tempo è possibile, per quel che consentano le necessità pubbliche, dalla servitù del corpo alla libertà dello spirito e della cultura. In ciò infatti consiste, secondo loro, la felicità della vita”. 
- Thomas More, Utopia




 All'inizio del Cinquecento, accanto alla concezione pragmatica della politica tipica di Niccolò Machiavelli, nacque anche una visione totalmente alternativa. Il suo più importante teorico fu l'umanista inglese Thomas More ( 1477 - 1535), cancelliere di Enrico VIII dimessosi dalla carica alla vigilia della rottura tra il sovrano e la Chiesa di Roma, rinchiuso nella Torre di Londra e poi decapitato per essersi rifiutato di sottoscrivere nel 1534 l'Atto di Supremazia. Riallacciandosi alla repubblica ideale di Platone e alle nuove tendenze culturali del suo tempo, prima fra tutte la critica sociale, politica e religiosa di Erasmo, More con la sua Utopia (1516) creò una nuova parola e un nuovo genere letterario, nel tentativo di elaborare un modello ideale e razionale di Stato a cui l'uomo avrebbe dovuto tendere.
Il termine utopia, coniato da More sulla base del greco ou- tòpos ed eu- tòpos, ovvero "luogo inesistente" e "luogo felice", racchiudeva una voluta ambiguità: il singolare trattato raccontava di un'isola immaginaria (ou-tòpos) in cui regnavano giustizia, libertà e tolleranza religiosa (eu - tòpos). Col tempo la parola utopia è passata a indicare qualsiasi progetto lodevole ma irrealizzabile, che non può avere luogo.
Nella prima parte della sua opera More denunciava in termini estremamente severi le storture della società del suo tempo, in cui dominavano l'arroganza dell'aristocrazia, l'ozio dei monaci e il parassitismo delle classi subalterne, a scapito dell'unica classe virtuosa, quella dei contadini. A suo avviso la causa preminente della degenerazione morale in Inghilterra era lo sviluppo della proprietà privata. Nella seconda parte dell'opera l'autore dava poi voce a un immaginario viaggiatore, Itlodeo, che di ritorno dalla lontana isola di Utopia, narrava allo stesso autore come, grazie alla comunanza dei beni, lo Stato laggiù garantiva a tutti gli utopiani cibo e assistenza, distribuendoli a ciascuno in base alle sue esigenze. Nell'isola utopica, perciò, erano banditi il lusso, la guerra e la proprietà individuale; vi regnavano pace, giustizia, tolleranza e laboriosità. Il modello utopistico di Thomas More esprimeva pertanto le istanze più elevate della razionalità e della socialità dell'uomo, e sognava una profonda cesura con la storia, fino ad allora teatro di guerre, miseria e povertà.




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